L’araldica dell’Onu lo identifica così: “Special Committee to Investigate Israeli Practices Affecting the Human Rights of the Palestinian People and Other Arabs of the Occupied Territories”, (pressappoco: Comitato speciale per indagare sulle pratiche israeliane che insistono sui diritti umani del popolo palestinese e degli altri arabi dei territori occupati). Il Comitato, composto dalla crema delle democrazie universali (Malesia, Senegal e Sri Lanka), l’altro giorno ha distribuito un rapporto, indirizzato all’Assemblea Generale dell’Onu, recante le più fresche rilevazioni circa la situazione di Gaza e della cosiddetta Cisgiordania.

Il volantinaggio della stampa engagé

La stampa engagé ne ha fatto subito volantinaggio spiegando che “l’Onu conferma il genocidio” (la stessa stampa che dal gennaio scorso racconta che la Corte Internazionale di Giustizia avrebbe definito “plausibile” il genocidio, cosa che la Corte non ha mai fatto). In realtà nel rapporto malesian-senegalian-srilankese quella parola – “genocidio” – ricorre un paio di volte lungo ventisette pagine: nel sommario e alla fine. In mezzo, il niente a giustificarne l’evocazione. Tanto meno, se possibile, i numeri su cui pure pretendevano di ispessirsi e acquistare autorevolezza scientifica i rapporti, le ordinanze, i pareri, le risoluzioni, i papelli prodotti senza sosta dalla galassia onusiana.

Genocidio ma popolazione cresce a Gaza (dati Hamas)

È verosimile che il ricorso a quell’impressionismo statistico – con l’agitazione delle decine di migliaia di morti da cui era rigorosamente esclusa anche la sola ipotesi che potesse trattarsi almeno anche di qualche miliziano – sia via via andato in desuetudine sulla scorta del dato eminente (fornito da Hamas, non da Benjamin Netanyahu) di una popolazione cresciuta di oltre centotrentamila unità esattamente nel periodo durante il quale avrebbe avuto corso il “genocidio”.

Il numero dei morti, l’ultimo dato dell’Onu al ribasso…

O forse l’ossessivo richiamo a quei numeri non verificati andava facendosi imbarazzante quando la stessa Onu ne accertava al 2 settembre di quest’anno qualcosa meno di 8.200 (dopo aver per un anno accreditato i numeri – moltiplicati per quattro o per cinque – forniti dal Ministero della Salute di Gaza). Sia come sia, diciamo che il “genocidio” non risiede più in quelle malferme evidenze numeriche e ha preso a dimorare in una specie di contesto delle ipotesi (“possibilità di genocidio”, si dice ora dalle parti dell’Onu, le stesse dalle quali il 25 marzo scorso si squadernava un rapporto intitolato, senza perplessità, “Anatomia di un genocidio”).

Ci occuperemo ancora di questo manufatto di marca Onu. È ricco di perle inestimabili. Chi, facendone ricognizione, si domandasse per quale motivo non vi trovi posto neppure per sbaglio l’accenno a una qualche responsabilità di Hamas nella sofferenza del popolo palestinese, ebbene darebbe prova di imperdonabile disattenzione. Non l’ha visto che sono le pratiche israeliane – non altre – le materie di indagine del Comitato?