Da Ardita a Di Matteo, tutti i no al golpe del Csm

«Non siamo stati citati, non ci dobbiamo difendere, e, anzi, dovremmo cercare di evitare lo spreco di denaro pubblico», ha affermato Antonio D’Amato, togato di Magistratura indipendente, opponendosi, senza successo, alla decisione di Palazzo dei Marescialli di “aiutare” il procuratore di Roma Michele Prestipino a rimanere al proprio posto nonostante la stroncatura da parte del Consiglio di Stato.

Il Consiglio superiore della magistratura, a maggioranza, ha deciso questa settimana, con una delibera senza precedenti, di costituirsi in giudizio davanti alle Sezioni unite della Corte di Cassazione insieme a Prestipino che aveva lamentato “il vizio di eccesso di potere giurisdizionale” del Consiglio di Stato, “per invasione della sfera di discrezionalità riservata al Csm su una pluralità di profili”. Un costituzione, quella del Csm, “adesiva”, come si usa dire, finalizzata a dare forza al ricorso di Prestipino e con lo scopo, ovviamente non dichiarato ufficialmente, di mettere sotto pressione i giudici di piazza Cavour nella battaglia contro il procuratore generale di Firenze Marcello Viola, vincitore al Tar ed al Consiglio di Stato.

«Prima di costituirsi in giudizio dovremmo valutare le probabilità di accoglimento del ricorso», ha aggiunto la giudice Loredana Miccichè, l’altra togata di Magistratura indipendente al Csm che, peraltro, presta servizio proprio in Cassazione. «Non c’è stato alcun eccesso potere da parte del Consiglio di Stato», prosegue la magistrata, ricordando che la Cassazione su un caso analogo, dove però il Csm non si era costituito, aveva respinto. Il ricorso, per la cronaca, era stato all’epoca presentato dal pm milanese Maurizio Romanelli, bocciato per l’incarico alla Direzione nazionale antimafia. «Prestipino – afferma Miccichè – ha tutto il diritto di ricorrere ma la giurisprudenza è chiara».
Anche il pm antimafia Nino Di Matteo è stato molto chiaro: «Se il Csm si è sentito leso nelle sue prerogative doveva sollevare conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato alla Consulta». «Ma meno male c’è il Consiglio di Stato e che interviene: sono felice!», il commento del consigliere laico in quota Lega Stefano Cavanna.

In scia anche Sebastiano Ardita, l’altro pm antimafia, che ha evidenziato la contraddizione del Csm dopo essersi battuto negli ultimi mesi per limitare la propria “discrezionalità” nelle nomine. Quale è, allora, il segreto inconfessabile dietro questa decisione? Il terrore di dover prima o poi fare i conti con il fatto che Prestipino non ha i titoli per ricoprire l’incarico di procuratore di Roma. Filippo Donati, laico in quota M5s, ha ricordato che non c’è stato alcun eccesso di potere da parte dei giudici di Palazzo Spada. «Il Consiglio di Stato ha chiesto solo di capire come sia stato possibile scegliere un procuratore aggiunto (Prestipino) invece di un procuratore generale (Viola)», puntualizza Donati, aggiungendo che serviva una adeguata “motivazione”. Tesi tutte respinte dal togato progressista Giuseppe Cascini secondo il quale la magistratura non è l’Arma dei carabinieri dove ci sono i gradi e vige il rapporto gerarchico. Il Csm l’anno scorso per nominare Prestipino si era lanciato in una motivazione tutta incentrata sulla particolare realtà criminale romana, composta da “organizzazioni nuove ed originali”. Il radicamento territoriale avrebbe, allora, favorito Prestipino, già vice di Giuseppe Pignatone, nei confronti degli altri concorrenti al posto di procuratore di Roma.

Nella battaglia per la Procura della Capitale, destinata a durare a lungo, un punto fermo però già c’è: Viola il mese scorso ha ritirato la domanda per la Procura generale di Palermo, il premio di consolazione che il Csm aveva pensato per lui se avesse rinunciato alle aspirazioni romane. «Il procuratore non ha intenzione di prestarsi a nessuno scambio. Il Csm non è, o non dovrebbe essere, il suk di Tunisi», avevano dichiarato al Riformista alcuni stretti collaboratori di Viola. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso, spingendo il pg di Firenze a ritirare la domanda per Palermo, era stata una intervista di Paolo Mieli alla trasmissione OttoeMezzo condotta da Lilli Gruber su La7. Mieli aveva dato per scontato che tutto si sarebbe risolto con Prestipino tranquillo a Roma, nonostante il Tar ed il Consiglio di Stato avessero affermato che la nomina era illegittima, e Viola a Palermo. Un trasferimento che lo avrebbe addirittura fatto felice essendo Viola siciliano.