Le fiamme del conflitto tra Hamas e Israele lambiscono sempre più tutto il Medio Oriente. L’ultimo dossier bollente è quello proveniente dalla Turchia, dove le autorità di Istanbul hanno emesso il mandato d’arresto per 46 persone accusate di essere informatori del Mossad, il servizio segreto israeliano. Non è la prima volta che la Turchia è teatro di questo tipo di arresti. Ma l’accusa rivolta a 46 persone di far parte di una rete dell’agenzia di intelligence israeliana colpisce sia per i numeri che per il momento storico: proprio mentre lo Stato ebraico è impegnato nella guerra nella Striscia di Gaza e nel momento di maggiori tensioni diplomatiche tra il governo di Benjamin Netanyahu e quello di Recep Tayyip Erdogan.

Le offensive

Se la tensione tra Israele e Turchia è di tipo politico, quella che si respira nei Paesi al confine settentrionale dello Stato ebraico è anche militare. Le Israel defense forces hanno affermato di “attaccato l’infrastruttura militare dell’Esercito siriano in risposta ai lanci di razzi sparati ieri in direzione del territorio israeliano”, confermando le notizie di un raid notturno alla periferia di Damasco. Mentre per quanto riguarda il Libano, continua a essere alto il livello di allarme per i possibili sviluppi del conflitto tra Israele, Hezbollah e le frange di Hamas presenti nel Paese dei cedri. Ieri pomeriggio, il quartiere di Moucharrafié, alla periferia sud di Beirut, è stato colpito da un’esplosione che per molti osservatori potrebbe essere il frutto di una complessa operazione chirurgica. Nel momento in cui scriviamo, le notizie riguardanti l’esplosione sono confuse. Alcune versioni parlano di un’autobomba, mentre altre si soffermano sull’ipotesi di un attacco con un drone. Secondo i media, sarebbero quattro i morti accertati: uno di loro è Saleh al-Arouri, il numero due dell’Ufficio politico di Hamas e fondatore delle Brigate Ezzedin al-Qassam. La notizia giunge in un momento particolarmente complesso per il “fronte nord” della guerra di Israele. Il Libano in queste settimane è sempre stato al centro delle tensioni per essere teatro del confronto diretto tra le Idf e Hezbollah, con attacchi che si ripetono ogni giorno da una parte e dall’altra del confine. Ma il Paese è anche uno dei grandi epicentri della “guerra ombra” tra Iran e Israele. E proprio per questo motivo, è particolarmente attenzionato anche dagli Stati Uniti, preoccupati da un possibile ampliamento del conflitto.

La strategia USA

Per frenare qualsiasi iniziativa da parte di Hezbollah (e quindi indirettamente di Teheran) contro lo Stato ebraico, subito dopo il 7 ottobre Washington aveva inviato nel Mediterraneo orientale il gruppo d’attacco della portaerei Gerald Ford, che doveva servire da deterrente simbolico e concreto per eventuali attacchi da nord contro Israele. Ma proprio in queste ultime ore, la Marina degli Stati Uniti ha deciso di ritirare la portaerei Ford dalla zona per farla rientrare nella sua base di Norfolk. Una scelta che, secondo alcuni analisti, sarebbe dettata dalla volontà statunitense di inviare un segnale di distensione all’Iran per riattivare tutti i canali di dialogo, soprattutto a seguito dell’aumento delle tensioni nel Mar Rosso ad opera dell’altra milizia filoiraniana: gli Houthi. L’esplosione di Beirut, tuttavia, potrebbe essere l’innesco di una nuova ondata di tensioni tra il sud del Libano e il nord di Israele.

Gli attacchi di Israele

Nel frattempo, prosegue la campagna militare israeliana all’interno della Striscia di Gaza. Ieri le Idf hanno annunciato di avere conquistato un’importante roccaforte di Hamas nel quartiere Sheikh Radwan di Gaza, mentre gli uomini della 460esima brigata corazzata hanno demolito la casa del comandante di Hamas in città. Secondo quanto comunicato dalle Tsahal, nella battaglia sono stati uccisi decine di miliziani, mentre nell’area sono stati ritrovati ingressi di tunnel e nascondigli di armi. Altri arsenali sono stati scoperti invece all’interno di alcune abitazioni private in diverse zone della Striscia. Per il ministro della Difesa, Yoav Gallant, “la sensazione che Israele stia fermando la campagna contro Hamas è sbagliata”. Una dichiarazione che arriva il giorno dopo l’annuncio del primo parziale ritiro di militari dal nord dell’exclave palestinese. “L’obiettivo è stremare il nemico, uccidere i suoi agenti e raggiungere una situazione in cui controlliamo il territorio” ha detto il ministro, evidenziando poi l’ampliamento delle operazioni nel sud della Striscia. Mentre sul fronte dei negoziati per gli ostaggi, i media israeliani hanno riportato alcune parole di Netanyahu durante un incontro con i familiari dei rapiti: “Gli sforzi proseguono, i negoziati sono ancora in corso, non si sono fermati”. Secondo i media, la posizione di Hamas e del Jihad islamico sulla liberazione degli ostaggi si sarebbe ammorbidita, nonostante le dichiarazioni pubbliche molto dure. E il nuovo ministro degli Esteri, Israel Katz, ha detto chiaramente qual è la priorità del suo mandato: “Gli ostaggi. Gli ostaggi. Gli ostaggi”.