Colpa della crisi del ruolo e del sistema giustizia
Da Gianni Agnelli a Silvio Berlusconi: il declino della professione di avvocato

Molti dicono che il vero Re d’Italia fosse Gianni Agnelli. Gianni Agnelli era elegantissimo, ricchissimo, aveva rapporti con tutto il jet set del pianeta come forse mai nessun italiano ha mai avuto prima e dopo di lui, la sua famiglia era di origini aristocratiche e molto probabilmente avrebbe potuto legittimamente fregiarsi di un titolo nobiliare, fu senatore a vita ma per tutti era sempre e comunque «l’avvocato». Le cronache raccontano che abbia faticato non poco per laurearsi e, per la verità, non so se abbia mai sostenuto l’esame di abilitazione, ma un fatto è certo, anche per uno come lui, nobile ed incredibilmente ricco e potente, il vero titolo, quello con cui tutti lo definivano e si faceva chiamare, era «l’avvocato».
Dopo di lui un’altra persona ha dominato ed in parte domina tuttora la vita imprenditoriale e politica di questo paese, ed è Silvio Berlusconi, è anche lui laureato in giurisprudenza con il massimo dei voti ma non lo chiamano avvocato, mai nessuno lo ha fatto, tutti lo chiamano sempre e soltanto «il Cavaliere». Come mai due persone separate da soli quindici anni, che avevano fatto gli stessi studi, si presentavano in maniera tanto diversa? Come mai nessuno ha mai chiamato anche Berlusconi avvocato? A ben vedere potrebbe sembrare un particolare di assai scarso rilievo ma, secondo me, così non è. Ed infatti solo pochi anni prima il titolo di avvocato era ambitissimo tanto che anche una persona come Gianni Agnelli lo ha utilizzato per tutta la vita mentre Silvio Berlusconi, nato solo quindici anni dopo, non ne ha mai fatto uso. In effetti tutto ciò è sintomo di un rivolgimento sociale profondissimo che ha attraversato ed attraversa il nostro Paese. In passato tutti coloro che avevano conseguito la laurea in Giurisprudenza, anche se non avevano mai esercitato la professione forense, usavano il titolo di avvocato come se fosse un vero e proprio titolo nobiliare; ora, come è avvenuto per i titoli nobiliari, quasi lo nascondono.
In passato la massima parte dei vertici dello Stato erano avvocati, il primo Presidente della Repubblica italiana era un avvocato mentre oggi non è più così. In altri termini, assetti e valori della nostra società in pochissimo tempo sono mutati profondamente relegando, piaccia o non piaccia, l’avvocatura in condizioni di sempre maggior marginalità. Io ritengo che le ragioni di questa crisi di immagine e di ruolo abbiano una precisa origine politica ed infatti la politica, che non aveva assolutamente chiara la situazione reale del Paese, ad un certo punto ha deciso che l’avvocatura rappresentasse un costo inutile. Nello stesso tempo la politica forense, per i suoi giochi di potere interni, soprattutto al Sud, ha aumentato a dismisura gli albi svalutando completamente la figura e la preparazione degli iscritti e quindi del servizio che essi potevano rendere. Si è ritenuto e si ritiene che la prestazione professionale equivalesse ad un viaggio in taxi o al costo di una telefonata, e che l’unico elemento da considerare fosse il suo prezzo, senza contare che un’esasperata concorrenza sui prezzi non poteva non portare ad un radicale scadimento della qualità dei servizi resi alla collettività e, quindi, alla minore tutela dei diritti. E questo si vede quotidianamente sia in ambito civile che penale. Nello stesso tempo si sta verificando in tutta Italia una vera e propria fuga dall’avvocatura verso qualunque tipo di occupazione che possa produrre un ancor minimo reddito. Ed in effetti i numeri diffusi di recente da Cassa forense sui redditi degli avvocati e sulla fuga dalla professione sono assolutamente desolanti, e questo soprattutto al Sud. Si dice: sì, ma questi dati sui redditi non sono reali, c’è l’evasione fiscale, non è possibile che gli avvocati guadagnino così poco. Ebbene io credo che purtroppo questi dati, soprattutto per la fascia sino ai sessant’anni di età che precede l’esplosione numerica dell’Albo, siano assolutamente reali.
E quindi vediamo l’enorme numero di avvocati che partecipano ad ogni tipo di concorso e che si dedicano, o provano a dedicarsi, ad attività notoriamente assai poco retribuite e radicalmente demansionati quali l’insegnate di sostegno. Esistono delle applicazioni in cui i servizi legali vengono appaltati in tutta Italia a somme molto inferiori a quelle che non è possibile pagare per legge ai raccoglitori di ortaggi nelle campagne e, mentre per queste categorie giustamente vi sono salari minimi, tutto ciò per gli avvocati non esiste e addirittura ci sono pubbliche amministrazioni che pretendono di richiedere servizi legali gratuiti mentre studi prestigiosi riducono sempre più i collaboratori e gli spazi ed altri preferiscono lasciarli inutilizzati. E così il mercato, con la fuga dall’avvocatura e dalle facoltà di Giurisprudenza, sta tardivamente e dolorosamente ripristinando gli equilibri che la politica aveva sconvolto a prezzo della vita e dei sogni di tanti giovani e delle loro famiglie oltre che del calo della qualità di un servizio che, piaccia o non piaccia, in una società che si dice libera o liberale resta comunque essenziale. Il tutto senza contare che un’avvocatura debole ed impreparata perché priva di mezzi non è, né può essere, in grado di riequilibrare i poteri dello Stato fra loro e quindi vediamo sia in ambito civile che penale prestazioni di livello e qualità modestissime in cui prevalgono sempre e comunque i più forti. Un altro aspetto della fuga dall’avvocatura è che oggi da essa, per la crisi di rappresentatività sociale che la colpisce, non fuggono solo i più giovani o i meno forti ma fuggono anche coloro che non vogliono accomunarsi in una condizione di marginalità sociale che addirittura talvolta ne compromette la rappresentatività ed il prestigio. È vero che ancora ci sono professionisti che offrono servizi di qualità ma lo fanno in perdita e solo per passione e se lo possono permettere solo perché hanno altre fonti di sussistenza, insomma non sono avvocati, fanno gli avvocati. Bisogna anche dire che questa situazione colpisce un po’ tutto il lavoro autonomo che opera al di fuori del mondo della sanità che ha saputo difendersi con politiche ragionevoli che ne regolano l’accesso ed infatti la sanità italiana è una delle migliori del mondo mentre invece altrettanto non può dirsi per la giustizia. Spero di esagerare e che qualcuno possa, non dico convincermi ma anche solo affermare che mi sbaglio ma purtroppo non credo che ciò sia possibile.
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