Il 9 maggio si ricorda in molti paesi dell’Est Europa la sconfitta della Germania di Hitler. Ma da simbolo dell’unità contro il nazismo, la ricorrenza sta diventando elemento di divisione del mondo post-sovietico e un moltiplicatore dei venti di guerra. È quello che sta accadendo in Moldavia, dove da settimane l’avvicinarsi della “Giornata della Vittoria” amplifica le occasioni di scontro tra filo-russi e filo-occidentali.

Il paese è da settimane al centro di quelli che la presidente Maia Sandu ha definito “tentativi di destabilizzazione”: i recenti attacchi in Transnistria, la regione filo-russa al confine con l’Ucraina autoproclamatasi indipendente nel 1991 e che ha sul suo territorio dai 1500 ai 3000 soldati russi, sembrano infatti essere i tasselli di una strategia militare finalizzata a coinvolgere la Moldavia nel conflitto, anche se non è chiaro chi stia muovendo i fili. Le autorità transnistriane accusano gli ucraini di voler ampliare il fronte antirusso, Mosca parla di provocazioni da parte di Kiev e smentisce l’ipotesi di un’invasione. I servizi segreti ucraini, invece, sostengono di avere le prove di imminenti piani militari russi, forse da attuare proprio il 9 maggio, per portare l’attacco decisivo verso Odessa. Kiev si è quindi dichiarata pronta a “occupare la Transnistria se fosse necessario”, come annunciato da Aleksey Arestovich, consigliere del presidente Volodymyr Zelensky.

Il Ministro degli esteri Nicu Popescu ha ammesso che al momento “non è possibile indicare chiaramente i responsabili degli attacchi” e punta il dito unicamente su “fazioni interne”. Il timore è che possa innescarsi un effetto domino che porterebbe la piccola Moldavia in una guerra che non ha le risorse per combattere. In questo clima di tensione l’avvicinarsi del 9 maggio amplifica le occasioni di scontro. Non sorprende, infatti, che proprio questa data sia utilizzata come benzina sul fuoco. La ricorrenza è stata negli anni plasmata da Vladimir Putin in un grande simbolo identitario, una religione laica del regime: il ricordo della “Grande Guerra Patriottica” si è trasformato in un momento di autoriconoscimento del popolo russo e la parata del 9 maggio è diventata una grande esibizione muscolare dell’esercito e della potenza nazionale.

In Moldavia la disputa sui simboli è iniziata settimane fa. Lo scorso 19 aprile la presidente Maia Sandu ha promulgato una legge che rendeva illegali alcuni simboli tradizionali, in particolare il nastro di San Giorgio, perché sarebbero utilizzati in supporto dell’invasione russa in Ucraina. Preso di mira, quindi, il nastro nero e arancione, utilizzato come medaglia ai combattenti della Grande Guerra Patriottica in era sovietica. Dal 2005, sessantesimo anniversario della vittoria sui nazisti, Putin ha avviato una forte campagna di valorizzazione del simbolo dal titolo “Io ricordo, Io sono fiero”. Il nastro è diventato il simbolo della fedeltà alla patria e dell’orgoglio nazionale, allargandosi oltre i confini della Federazione. È stato utilizzato dai separatisti in Donbass e dal 2017 l’Ucraina ne ha progressivamente vietato l’uso. Il legame tra il nastro è l’orgoglio nazionale russo lo rende un simbolo fortemente divisivo. Da qui la scelta del Governo moldavo che lo ha reso illegale, insieme alla ‘V’ e alla ‘Z’ con cui si identificano i mezzi militari in Ucraina.

“Non sono i simboli della guerra di 77 anni fa – ha spiegato la presidente Sandu– ma si riferiscono alla guerra di oggi. I simboli cambiano significato a seconda del contesto. Non possiamo tollerare la promozione di immagini e azioni che sono associate all’uccisione di migliaia di persone, alla sofferenza di milioni di altri rifugiati, che invocano terrore, distruzione e stupri”. La presidente ha precisato che “il divieto non minaccia la nostra memoria storica” e che “sarà possibile commemorare il sacrificio dei nostri eroi”, permettendo che la celebrazione possa svolgersi senza i simboli vietati. Il blocco socialista e comunista, però, ribalta la lettura del Governo: Igor Dodon, ex presidente moldavo in quota socialista, ha parlato di decisione “antidemocratica”, accusando il governo di voler provocare tensioni manovrate dall’estero: “La società moldava – scrive Dodon – rischia di scivolare in rivolte. E il responsabile sarà il governo che invece di calmare gli animi, provoca odio, divisione e conflitto”. Dodon invita esplicitamente a “non finire nelle mani di stranieri che vogliono trasformare la Moldavia in un campo geopolitico e militare”, mentre Vlad Batrîncea, segretario dei socialisti, parla di “dichiarazioni aggressive” e di “azioni pericolose che dividono fortemente la società”. I socialisti avrebbero quindi minacciato di non obbedire al divieto e non è escluso che possano svolgersi manifestazioni e proteste.

Paradossalmente in Transnistria sembra invece prevalere la volontà di non soffiare vento sul fuoco. Nei giorni precedenti il 25 aprile, giorno del primo attacco al Ministero per la Sicurezza della Transnistria, era evidente che la regione si stesse preparando alla parata del 9 maggio. Dopo gli attacchi, però, le autorità hanno deciso di sospendere la tradizionale parata. Da quanto abbiamo raccolto nella regione autonoma non ci sarebbero proteste: nonostante sia una regione filorussa filtra la consapevolezza dell’incapacità militare di difendersi, nonché la volontà dell’amministrazione e della cittadinanza (composta per almeno il 30% da ucraini) di rimanere neutrali e non essere coinvolti in una guerra. È stato il leader della Transnistria, Vadim Krasnoselsky, a invocare la pace e a chiedere a Chisinau di non cadere nelle provocazioni. Filtra quindi una generale propensione alla pace e alla neutralità, ma si teme l’uso di pretesti per destabilizzare l’area e soprattutto l’azione provocatoria di gruppi interni. Pare evidente che gli attacchi tocchino il nodo irrisolto della Transnistria per tirare per la giacchetta la Moldavia e ampliare il fronte del conflitto. Non è chiaro, però, chi ci sia dietro.

Da una parte i russi potrebbero usare tutta la loro influenza sulla regione per attaccare da due fronti Odessa che dista appena 100km da Tiraspol. Ad alimentare questa lettura le parole di Rustam Minnekayev, vice comandante delle forze del Distretto Militare Centrale della Russia, secondo cui l’esercito russo vorrebbe conquistare l’Ucraina meridionale per “aprire una strada” verso la Transnistria dove “si registrano casi di oppressione della popolazione di lingua russa”. Parole che hanno richiamato il linguaggio utilizzato prima dell’attacco al Donbass e che hanno fortemente spaventato Chisinau, tanto che il Ministro Popescu ha convocato l’ambasciatore russo ottenendo rassicurazioni. Peraltro l’idea di unire il Donbass alla Transnistria, creando la cosiddetta ‘Novorossiya’, è un progetto politico-militare che circola da anni negli ambienti nazionalisti russi. Dall’altra, però, l’Ucraina potrebbe utilizzare la regione autonoma come pretesto per coinvolgere nel conflitto la Moldavia.

Da parte di Chisinau e Tiraspol al momento prevale comunque la volontà di non mettere a rischio il delicato equilibrio basato sulla neutralità. Nonostante ciò il territorio è fortemente controllato, le truppe sono in allerta e arrivano notizie poco rassicuranti: Kiev denuncia movimenti aerei nella capitale transnistriana per rifornire militarmente la regione, fa filtrare la notizia della fuga delle famiglie di ufficiali russi e parla di trincee sul fronte. Secondo alcune intelligence occidentali e per alcuni analisti le risorse militari della Regione sarebbero troppo scarse e un ‘ponte aereo’ sopra una regione in guerra sarebbe improbabile. Se la Transnistria sceglie di non alimentare le tensioni, qualcosa di diverso accade in Gagausia, altra regione autonoma della Moldavia di lingua e sotto influenza russa e abitata da una minoranza turca. Qui il governo locale, presieduto da Irina Vlah, con orientamento fortemente filorusso, ha deciso di non ricevere le disposizioni del governo moldavo sui simboli del 9 maggio. Solo l’intervento della Corte d’Appello ha annullato quella decisione: i simboli restano illegali.

In tutto questo la Moldavia tenta, non senza fatica, di mantenere il suo profilo di neutralità, sancito nella Costituzione del 1994. Il Governo ha avviato una “campagna per la Pace” con video di sensibilizzazione, interviste e interventi di personaggi famosi, ribadendo più volte di voler restare fuori dal conflitto. E nonostante le ambiguità anche dalle opposizioni sembra prevalere questa posizione. La Moldavia è l’unico paese dell’area ex sovietica a rivendicare questo status, una scelta che riflette la propria complessità sociale, culturale e politica: nel paese coabitano moldavi, rumeni, russi, ucraini, bulgari, gagausi e piccoli gruppi rom. Politicamente è sospeso tra nostalgie post-sovietiche e nuovi modelli di sviluppo europei, con un profilo europeista che si è consolidato solo negli ultimi due anni con il governo del partito Pas e l’elezione di Maia Sandu, ma con un partito socialista che proprio al ballottaggio nelle elezioni presidenziali del 2020 ha ottenuto, con il candidato Dodon, il 42% di consensi.

E proprio mentre iniziava la guerra in Ucraina il paese ha formalmente richiesto l’entrata nell’Unione Europea, ma ha sempre negato l’adesione alla NATO: “Vogliamo entrare in Europa perché ci sentiamo europei – ci ha detto il Ministro degli esteri Nicu Popescu – ma non abbiamo intenzione di entrare nella NATO”. La candidatura all’Ue è stata formalizzata il 5 maggio: la Moldavia può quindi iniziare l’iter per approdare in Ue. Ma nonostante questo continuano a rincorrersi segnali di guerra: Washington nelle scorse settimane, attraverso il segretario di Stato Antony Blinken si è detto “garante dell’integrità territoriale del paese”, mentre pochi giorni fa il presidente del Consiglio europeo Charles Michel in visita a Chisinau ha dichiarato che l’Ue vuole “aumentare considerevolmente il sostegno militare” alla Moldavia.

Dichiarazioni e movimenti diplomatici che rispecchiano le tensioni fuori e dentro il paese. La questione dei simboli del 9 maggio si aggiunge così agli attacchi terroristici di questi giorni in Transnistria per disegnare il profilo di un paese che come un funambolo tenta un precario equilibrio sul filo della neutralità, ma che deve far fronte a venti di guerra che si fanno sempre più forti sia dall’interno che dall’esterno.

Giovanni Mennillo, Alice Pistolesi

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