Il caso
Da Mondragone al ponte di Genova bisogna riunificare l’Italia

«Faremo del litorale domitio-flegreo la nostra riviera romagnola». Sarebbe fin troppo facile, oggi, ricordare ciò che De Luca disse due anni fa a proposito di quell’area e accostare le sue parole ai fatti di oggi. Sarebbe fin troppo facile tirare fuori dagli archivi i file con i video dei progetti che promettevano la rigenerazione paesaggistica, urbanistica e turistica dell’intera fascia costiera e proporli come contrappunto alle proteste recenti: per l’istituzione della zona rossa intorno ai palazzi Cirio a Mondragone, dove è stato individuato un pericoloso focolaio di Covid-19; e per la violazione della stessa da parte di decine e decine di residenti irregolari. Sarebbe fin troppo semplice, ancora, lasciar parlare la cronaca, che riflette appunto un disordine totale, sia sul fronte sanitario che su quello dell’ordine pubblico, e richiamare alla mente il piglio con cui il governatore regionale si vanta di risultati a suo dire senza paragoni in Occidente. Sarebbe fin troppo facile, ma non faremmo più di quello che ha fatto Salvini.
Non faremmo, cioè, che soffiare sul fuoco di una polemica elettorale uguale e contraria a quella finora alimentata da De Luca. Ma non può essere questa, oggi, la nostra prima preoccupazione. La gravità dei fatti e la prospettiva di una emergenza non più contenibile rende urgente invitare tutti – maggioranza e opposizione – a scendere dal palco, a smettere i panni imposti dalla recita elettorale, e a trovare subito le soluzioni necessarie. Cosa ha detto Salvini? Questo. «Il caso Mondragone si aggrava: decine di positivi, quattro contagiati hanno fatto perdere le proprie tracce, cresce la tensione tra gli italiani e la comunità bulgara… De Luca è ‘nu piatto vacante’, tante parole ma zero fatti». Ed ecco, invece, la risposta del governatore. «Su Mondragone, come sempre, abbiamo reagito con immediatezza. Non appena avuta la notizia, abbiamo messo in quarantena le palazzine. Sono state mobilitate le forze dell’ordine per avere controlli rigorosi. Il lavoro è impegnativo, la nostra attenzione massima». E ancora: «Come sempre stiamo reggendo bene e stiamo dando tranquillità alle nostre comunità».
Insomma, abbiamo, da una parte, un Salvini tutto concentrato sulle sorti non più magnifiche e progressive di De Luca; e dall’altra un De Luca tutto preso dalla difesa della propria immagine di uomo d’ordine. Nel mezzo di queste rappresentazioni c’è però la realtà. Vale a dire un dramma gigantesco come i palazzi Cirio: un agglomerato di otto enormi stabili costruiti nel 1957 presso la fabbrica omonima, ormai smantellata; un “mostro” abitato da rumeni e bulgari, molti di etnia rom, e da una residua parte di terremotati napoletani portati lì, temporaneamente, quarant’anni fa; un simbolo dell’anarchia italiana di cui difficilmente si sarebbe parlato se il Covid-19 non avesse deciso di innescare proprio lì uno dei suoi micidiali detonatori.
Di fronte a questo mondo a parte, Salvini non può cavarsela con una battuta elettorale, neanche fosse De Luca; e De Luca non può difendere se stesso neanche fosse Salvini che minimizza le responsabilità della Regione Lombardia. Con quel mondo a parte bisogna fare subito i conti. E subito va avviata la rigenerazione urbana di quell’area, di tutto litorale, dell’intero Paese. Altro che polemiche, consultazioni, passerelle, Stati generali, riforme rimandate e leggi inapplicabili. Conte dice che «bisogna reinventare l’Italia». No. Bisogna semmai riunificarla, perché oggi c’è l’Italia del ponte di Genova e quella dei palazzi Cirio.
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