I cecchini che hanno puntato Silvio Berlusconi sono stati tanti, appostati su diversi Palazzi. Il primo, il più agguerrito, è stato il sindacato dei magistrati, che dopo la sua vittoria elettorale del 2008, si rafforzò immediatamente nella sua componente della sinistra più estrema. Anche Luca Palamara è della partita, ma la vera anima nera è Edmondo Bruti Liberati, lo stesso procuratore di Milano che dopo l’unica sentenza di condanna subìta dal leader di Forza Italia sentenziò che era immediatamente eseguibile, mentre il suo amico Matteo Renzi chiudeva la pratica con il suo famoso “game over”.
Ma ben prima di poter cantar vittoria con il sigillo della cassazione, i cecchini avevano adocchiato non la vita politica del premier, ma quella personale. Gli piacciono le donne? È un tipo galante? Scaviamo su questo, qualcosa si troverà. E se non si trova lo si fa trovare. Si parte da un episodio dall’apparenza insignificante, del tutto innocente: Berlusconi che va a Casoria dove una ragazzina di nome Noemi Letizia festeggia i suoi diciotto anni. Il presidente del consiglio conosce il padre, che lo ha invitato all’evento, ma il fatto diventa presto irrilevante. Una cronista della redazione napoletana di Repubblica, che molto opportunamente gironzolava da quelle parti, porta a casa il suo piccolo scoop. Che diventerà presto una valanga.
Lo scandalo sessuale, si sa, accende le pruderie del maschio latino e di tutti coloro che «danno consigli, non potendo più dare il cattivo esempio». Così i cecchini del “Sistema” di cui racconta Luca Palamara nel suo libro, si appostano sui tetti. Cecchini in toga e cecchini al computer. Passa solo qualche mese dalla sera di Casoria, quando si punta su Bari. Si parte dai “peccati” per trasformarli in reati. Il clima tra il governo e le toghe era già da guerra nucleare. Non c’era pm che aspettasse la notitia criminis per aprire un fascicolo intestato “Berlusconi più altri”, tutti con la lanterna in mano a cercare. Sembravano piccoli Diogene pensando di essere tanti Bartolo da Sassoferrato, quello definito lucerna juris. A Bari nell’estate del 2009 sta per insediarsi il nuovo procuratore capo Antonio Laudati, magistrato molto stimato, che appartiene alla corrente moderata di Magistratura indipendente.
Già un piccolo difetto in partenza. La città è un verminaio di frequentazioni non sempre opportune tra schiere di magistrati (una cinquantina almeno, calcolerà il neo-procuratore) e ambienti imprenditoriali, in cui spiccherà Giampaolo Tarantini con le sue feste. Il “caso” di Patrizia D’Addario scoppierà anche qui con lo scoop di un cronista locale del Corriere della sera. Che si guarda bene dal frugare nei costumi sessuali dei magistrati festaioli, ma punta diritto su Silvio Berlusconi, cui Tarantini aveva presentato la ragazza (che verrà incoraggiata anche a scriverci sopra un libro) a Roma.
I cecchini cominciano con il puntare Laudati, anche con la pallottola più schifosa, quella dell’esposto anonimo (uno di quelli con le impronte digitali sopra), cui seguirà una lamentela del procuratore generale su una presunta lentezza del dottor Laudati nel depositare le carte delle sue inchieste. Ecco dunque il sospetto più bruciante: intelligenza con il nemico. Per i cecchini in toga Silvio Berlusconi non era il presidente del consiglio, ma il Nemico. E il procuratore di Bari, se non si era trasformato in killer a sua volta, non poteva che esserne il complice, nemico a sua volta. Così Laudati finì indagato a Lecce per abuso d’ufficio e favoreggiamento. Superfluo dire che la sua posizione finirà poi archiviata. Ma quel che conta è ricordare che quel magistrato si era posto fuori dal “Sistema” e salvare lui avrebbe voluto dire salvare Berlusconi, cosa impensabile. Ormai i cecchini avevano colpito.
Dice Luca Palamara su quel periodo: «Da presidente dell’Anm sono tra quelli che imbracciano il fucile». Quel fucile però ha solo due colpi in canna, uno per Laudati, l’altro per Berlusconi. E questo nonostante nello stesso periodo fossero state rese pubbliche alcune fotografie molto imbarazzanti per una serie di magistrati pugliesi. Che cosa ci facevano esponenti di Magistratura democratica come Gianrico Carofiglio, Francesca Pirrelli e Susanna De Felice al tavolo con il presidente della Regione Nicki Vendola da poco archiviato dagli stessi uffici per una vicenda che riguardava il mondo della sanità? Sciocchezzuole che non interessavano il Csm né il sindacato delle toghe.
Gli antipasti erano ormai serviti, quando a Milano viene messo in tavola il piatto forte, il “caso Ruby”. Ritroviamo qui agguerrito più che mai il procuratore Bruti Liberati, ma anche colei che era considerata un po’ la giamburrasca della procura, quella Ilda Boccassini che da giovane era stata la “pm in blue jeans” e poi quella che aveva gridato il suo “j’accuse!” contro i suoi colleghi che avevano lasciato solo Giovanni Falcone fino al suo assassinio. Da allora si occupava di inchieste di mafia, i reati contro la pubblica amministrazione erano di competenza di Alfredo Robledo.
Bruti scippa a Robledo l’inchiesta su una presunta concussione di cui si sarebbe reso responsabile il presidente del consiglio per la famosa telefonata alla questura di Milano per far consegnare Ruby alla consigliera regionale Nicole Minetti, e l’assegna a Boccassini. La quale si ingolosisce subito, afferra il trampolino nella speranza di sedere un domani al posto del suo capo. E fa anche il di più.
Il Pornofilm nasce così, in una serata di maggio del 2010, al quarto piano del palazzo di giustizia di Milano. Negli stessi uffici da cui era partita la caccia al cinghialone e sopra quella sala stampa in cui si brindò il giorno della prima informazione di garanzia nei confronti di Bettino Craxi. Ricordando tutto quel che seguì e il conflitto tra Bruti e Robledo anche per lo scippo su quell’inchiesta di cui si occupò il Csm fino alla defenestrazione del magistrato normale che stava fuori dal “Sistema”, c’è una domanda che andrebbe posta a tutti coloro che in quel tempo erano membri, togati e laici, di quel consiglio.
Occhio alle date. Ruby viene fermata e rilasciata nella famosa notte di maggio del 2010. Silvio Berlusconi viene iscritto nel registro degli indagati il 21 dicembre e in seguito raggiunto da un invito a comparire il 14 gennaio 2011. Che cosa è successo tra Milano e Arcore tra maggio e dicembre del 2010? È successo che la ragazza viene ripetutamente interrogata, e anche che tutte le persone che frequentano la casa del presidente del consiglio sono pedinate, controllate, fotografate, intercettate. Per sei mesi si tesse la tela del ragno nei confronti del Nemico, cioè si indaga su di lui in violazione di ogni norma di procedura, comprese le guarentigie che riguardano i parlamentari. Coloro che in quei giorni erano membri del Csm si sono mai resi conto di quel che stava accadendo, o l’odio per il Nemico era comune a tutti? Se dubbi ci sono stati (e ci furono, a quanto ci racconta Palamara), pensò bene Bruti Liberati a spazzarli via. Chiese e ottenne dal suo referente al Csm, Giuseppe Cascini, la solidarietà della corporazione ai pubblici ministeri milanesi. Che arrivò, con la benedizione del Presidente della repubblica.
Sappiamo come andò a finire quella vicenda, con la condanna di Silvio Berlusconi in primo grado e l’assoluzione in appello e cassazione. Ma nulla fu indolore. Non per lui, non per le ragazze trattate come prostitute, molte delle quali persero il lavoro e furono poi aiutate dal leader di Forza Italia che per quel motivo è ancor oggi processato. Ma non possiamo dimenticare il fatto che per fortuna ancor oggi c’è magistrato e magistrato. Chi è dentro il “Sistema” si salva, come il giudice Enrico Tranfa, presidente della corte d’appello che assolse nonostante il suo parere contrario e per quel motivo si dimise dalla magistratura con grande fanfara.
E chi era fuori dal “Sistema”, come il pm Antonio Sangermano, che pure aveva condotto le indagini insieme a Ilda Boccassini, che seppe rispettare quella sentenza e osò persino denunciare la forzatura che fu fatta della Costituzione quando Berlusconi, su iniziativa di Matteo Renzi, fu espulso dal Senato dopo la sentenza della cassazione per un reato fiscale. Anche Sangermano fu esposto alla mira del cecchino sul tetto del palazzo di fronte. Si arrivò persino a chiederne le dimissioni dalla magistratura. Ecco quel che capita a chi sta fuori dal “Sistema”.