L'incubo
Da oltre un anno in una cella liscia in isolamento, il calvario di un detenuto difficile
Una cella del carcere di Badu e Carros a Nuoro. Liscia, con unicamente un letto e un armadietto senza ante. Sta lì da più di un anno un uomo di quarant’anni in regime di sorveglianza particolare previsto dall’art. 14-bis dell’Ordinamento penitenziario nei confronti dei detenuti che hanno comportamenti tali da compromettere l’ordine e la sicurezza negli istituti penitenziari. Il tutto avviene su richiesta della polizia penitenziaria a cui segue una decisione/disposizione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. La misura può essere disposta per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile anche più volte in misura non superiore ogni volta a tre mesi. Di proroga in proroga il detenuto in questione è sottoposto a questo tipo di sorveglianza dal gennaio del 2020.
L’ultima è stata disposta il 2 febbraio di quest’anno e dunque terminerà all’inizio di maggio, ma non è detto che non sarà ulteriormente prorogata. Il detenuto si trova nei fatti in isolamento e le uniche persone che incontra sono gli agenti. Già perché non può fare nemmeno i colloqui con i familiari perché sua moglie e i suoi figli vivono in Campania e, oltre alle limitazioni dovute al Covid, non possono permettersi il viaggio per arrivare sull’isola. I difensori hanno chiesto al Dap almeno di trasferirlo sul continente per agevolare i rapporti con la famiglia tenuto conto che due dei suoi figli minori sono anche documentatamente invalidi. Niente. Diniego.
Come se tutto ciò non bastasse, il carcere lo ha privato per tutto questo lungo periodo di isolamento anche del televisore. C’è voluto l’intervento del Tribunale di sorveglianza di Sassari che con un’ordinanza datata lo scorso 25 febbraio ha accolto il reclamo del detenuto. Il carcere ha fatto un po’ di resistenza ma alla fine, a nove giorni di distanza dall’ordine della magistratura, il televisore glielo ha dato. Interessante è leggere alcuni passaggi di questa ordinanza ragionata e motivata. Il Tribunale di sorveglianza per esempio è costretto a precisare che in regime di sorveglianza particolare «non sono consentite privazioni che non trovino alcuna giustificazione con il comportamento del detenuto oppure, ovviamente, che abbiano una mera finalità afflittiva» e che «nel caso in esame non è dato conoscere il motivo per il quale dalla cella sia stata asportata la televisione, solitamente ancorata con idonei supporti ad una parete, sicché sulla base degli atti deve ritenersi che questa sia una privazione del tutto immotivata e non funzionale alle esigenze di sicurezza».
Con la saggezza del buon padre di famiglia il Tribunale rileva inoltre che «la privazione dell’apparecchio TV e della possibilità che questo offre al detenuto di occupare del tempo in modo anche interessante e rasserenante, può contribuire a rafforzare nel detenuto, privo di sostanziali interessi, risentimenti e recriminazioni che ben possono, alla lunga, sfociare in ulteriori atteggiamenti irrispettosi e violenti nei confronti del personale della Polizia penitenziaria». Siamo di fronte ad un detenuto molto difficile con un passato da dipendenza da cocaina. I magistrati del Tribunale sembrano suggerire che forse quello non è il modo più efficace di trattarlo. Non so quante volte sia stato visitato da uno psicologo o dal Direttore dell’istituto anche se le regole penitenziarie lo prevedono. Se lo chiede e lo chiede al Ministro della Giustizia il deputato Roberto Giachetti che sulla vicenda ha presentato un’interrogazione parlamentare.
Come un cane lo trattano, dice la moglie, che per ben tre volte ha sporto denuncia per pestaggi e maltrattamenti nei confronti del marito. Sarà la giustizia a verificare se le denunce siano fondate o meno, certo è che quest’uomo da più di un anno non ha contatti umani significativi se si escludono quelli con gli agenti. Aggiungo che è costretto a portare un pannolone per le perdite di sangue dovute alle emorroidi per le quali avrebbe dovuto essere operato già due anni fa. Immaginatelo in una cella liscia, in isolamento e con il disagio dovuto alla malattia. Della situazione ho personalmente interessato il Dap nella persona del Capo, il Dott. Bernardo Petralia. Nessuna risposta, nemmeno di attestazione di ricevuta dell’email inviata la mattina dell’11 marzo.
Per coincidenza, proprio due giorni prima la nostra Ministra della giustizia Marta Cartabia, intervenendo al XIV Congresso delle Nazioni Unite a Kyoto, aveva richiamato i “Mandela rules”, che stabiliscono regole chiarissime sul divieto di isolamenti prolungati. Chissà se sia conosciuta all’interno dell’Amministrazione penitenziaria la relazione che il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura ha redatto a seguito della visita fatta in Italia nel 2019 e dedicata ai vari tipi di isolamento che vengono messi in pratica in Italia, fra cui -ricordiamolo-quello del 41-bis. A proposito del regime di sorveglianza particolare (14-bis OP) scrive di “nutrire seri dubbi riguardo alla sua attuazione pratica, in particolare la mancanza di contatti sociali e le severe restrizioni imposte ai detenuti e la mancanza di un supporto psicologico proattivo e regolare. Inoltre, la durata potenzialmente indefinita di tale misura significa che questi detenuti sono soggetti a periodi prolungati di isolamento”. Marta Cartabia, aiutaci tu.
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