Venti morti, di cui 15 poliziotti. Decine di feriti, tra cui molti in gravi condizioni. Una regione, il Daghestan, sotto choc. E una Russia che si interroga sul suo incubo ricorrente, quello che da sempre è il grande nemico interno di Vladimir Putin e che da qualche tempo è tornato a ruggire nel cuore del Paese: il terrorismo. Gli attacchi che hanno sconvolto le città di Derbent e Makhachkala sono stati terribili: simultanei, sanguinari, fatti apposta per colpire al cuore la società di questi centri, andando a prendere di mira chiese, sinagoghe, istituzioni, persone disarmate. Un crimine senza rivendicazione (anche se gli analisti concordano che la matrice sia quella dell’Isis) e su cui la polizia indaga senza sosta. Ieri è stato arrestato Magomed Omarov, il presidente del distretto di Sergokala e segretario locale del partito di Putin, Russia unita. La sua casa è stata perquisita e tra gli assalitori uccisi, due erano suoi figli e uno un nipote.

Il rischio

Ma quello che preoccupa l’intelligence e il Cremlino è soprattutto il pericolo che questo attacco indiscriminato in città dove hanno sempre convissuto le tre grandi religioni monoteiste possa essere il preludio di una fiammata di tensioni interne. Un rischio avvertito già da parecchi mesi. Dopo l’assalto compiuto il 7 ottobre da Hamas contro Israele, le autorità daghestane erano state costrette a chiudere l’aeroporto di Makhachkala dopo che una folla inferocita aveva preso d’assalto lo scalo non appena si era sparsa la voce dell’arrivo di un aereo da Tel Aviv. Centinaia di giovani avevano dato il via a una caccia all’uomo fomentata da alcune notizie che circolavano sui canali social. E la polizia è dovuta intervenire per ristabilire l’ordine all’interno dell’aeroporto e in città. Diverse città a maggioranza musulmana sono poi diventate teatro di proteste contro Israele per la guerra nella Striscia di Gaza.

L’incubo riaffiora

E dopo l’attentato dello scorso marzo alla Crocus City Hall vicino Mosca, quando la provincia del Khorasan dello Stato islamico aveva compiuto la sua peggiore strage sul suolo russo, le forze di sicurezza di Mosca erano intervenute proprio in Daghestan per arrestare parte della rete collegata all’attacco. Il timore di altre fiammate dell’Isis si era poi visto con la rivolta avvenuta nella prigione di Rostov il 16 giugno, quando alcuni detenuti legati all’organizzazione jihadista avevano preso in ostaggio alcuni agenti penitenziari prima di essere uccisi dalle forze speciali.
E adesso, l’incubo riaffiora nelle immagini del sacerdote ortodosso sgozzato a Derbent e nelle testimonianze delle sinagoghe colpite dalla furia terrorista. Anche senza una specifica rivendicazione del sedicente Stato islamico. Il dossier, per Putin, è particolarmente serio. Anche perché la saldatura tra istanze locali e globali, come avviene sempre nel terrorismo (tanto più di matrice islamista), si unisce all’essenza di un nemico invisibile ma molto esteso. Endemico nelle repubbliche caucasiche e capace di costruire legami anche nei territori dell’ex Unione Sovietica.

L’offensiva russa non è ferma

La “fortezza Russia” disegnata dallo “zar” anche per alimentare la narrazione di un Paese inattaccabile rischia ormai di sgretolarsi di fronte a una realtà ben distante da quella pompata dalla macchina della propaganda. Il terrorismo sta rialzando ferocemente la testa, e lo fa non soltanto con reti esterne (come quella tagika per l’attacco a Mosca) ma anche interne. Il Caucaso rischia di nuovo di trasformarsi in un’inquietante polveriera dopo che per decenni è stata fucina di miliziani jihadisti e terroristi votati al martirio. E tutto questo avviene mentre la guerra in Ucraina prosegue ininterrottamente e con le forze di Kiev che stanno aumentando i loro attacchi in territorio russo. Domenica, poco prima della strage in Daghestan, la Crimea era stata bersagliata dai missili Atacms forniti dagli Stati Uniti. Ieri notte, quattro droni sono stati intercettati dalla contraerea russa mentre sorvolavano la regione di Rostov. E dal Mar Nero alle aree al confine con l’Ucraina, la Russia percepisce l’intensificarsi della pressione ucraina, sostenuta dall’arrivo delle armi occidentali. Questo non significa che l’offensiva russa sia ferma. I missili e i droni di Mosca continuano a bersagliare tutto il Paese invaso.

E soltanto nella giornata di ieri, le autorità locali hanno confermato che un attacco russo realizzato con due missili Iskander-M ha provocato quattro morti e più di 30 feriti nella città di Pokrovsk, nel Donetsk. Tuttavia, Putin, che ieri ha ricevuto la notizia del quattordicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia da parte dell’Unione europea, sa che la sua leadership si basa anche sul senso di sicurezza da fornire alla propria opinione pubblica. La solidità del sistema è sempre stato il cardine della sua agenda. Ma nell’ultimo anno, le cose non sembrano andare nella direzione auspicata dal Cremlino. Le spaccature interne possono minare regioni già bollenti. E il fronte ucraino è ancora un inquietante punto interrogativo.