Da un mondo un tempo emergente, ci giunge un messaggio chiro: non ha più voglia di aspettare noi e le nostre liturgie.
Dal Forum BRICS 2023 arriva un cambio di passo: vietato in Occidente sottovalutare questo sforzo
Il meeting appena svoltosi in Africa segna un deciso cambio di passo. Nasce un Forum allargato ad altri 6 Paesi. Il che ci impone almeno una duplice riflessione.
Da qualunque punto di vista si osservi, il forum BRICS 2023 segna un deciso cambio di passo. Diversi sono i fattori che ce lo indicano. In primis, la esplicita proposta Cinese di trasformare i Brics in una piattaforma del cosiddetto “global South”, sostanzialmente alternativa (se non antagonista) al G7 e alle altre componenti della governance internazionale (ONU IMF etc), ritenute, in parte a ragione, troppo sensibili alle istanze delle democrazie occidentali. Secondo, l’ampiezza dei temi discussi: il documento finale in 94 punti è estremamente ricco e articolato e tocca di tutto, dalla moratoria sulle armi chimiche alla situazione del Sahara occidentale, del Niger ed altre crisi un poco “dimenticate” dall’Occidente. Infine, tema che forse di più ha attirato l’attenzione degli osservatori, l’invito ad entrare nel club a 6 paesi importanti e popolosi come Egitto, Iran, Argentina, Etiopia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi.
Due riflessioni si impongono. La prima è che, oggettivamente, la governance globale è decisamente troppo legata all’equilibri del dopoguerra, che sono chiaramente superati. L’istanza di rivedere alcuni meccanismi ed i pesi dei vari paesi, è assolutamente ragionevole.
Basti pensare che già oggi i BRICS, che appena 20 anni fa rappresentavano circa metà del prodotto interno lordo dei Paesi del G7, lo hanno raggiunto e superato. E se consideriamo la popolazione, già nella versione “a cinque”, i BRICS rappresentano quasi la metà della popolazione mondiale. La seconda riflessione è che un aggregato del genere, che già trova al suo interno democrazie e autarchie, con l’allargamento ai sei nuovi paesi vede un ulteriore aumento della eterogeneità al suo interno.
Ma vediamo cosa accomuna questi 11 paesi (5+ 6). Sicuramente la voglia di contare di più nello scenario globale, il sentirsi in qualche modo “sotto rappresentati” nei consessi internazionali, nati sulle ceneri della seconda guerra mondiale. E con misure e toni diversi, una certa diffidenza verso gli USA ed il mondo sviluppato, percepito come ricco, egoista ed autoreferenziale. Sentimento anti USA comune, ad esempio nelle masse latinoamericane, dove il “gringo” è, da sempre detestato, anche, se appena possibile, quasi tutti i sudamericani finiscono per desiderare di andarci a vivere o almeno mandarci figli a studiare. Simile la percezione tra i Cinesi gli Arabi e gli indiani. Per non parlare dei Russi, il cui presidente, ormai asserragliato al Cremlino e collegato in videoconferenza, ha suscitato perplessità (e qualche ilarità) quando, sfidando il ridicolo, ha difeso la folle invasione della Ucraina come “necessaria per fermare la guerra di sterminio intrapresa dall’Occidente”.
Oltre a questo, dove porterà il nuovo corso dei BRICS? Quali sono gli obiettivi comuni? Hanno, ad esempio, India e Brasile, 2 grandi democrazie, voglia di passare “Tout Court” da un mondo a “Guida USA” un mondo multipolare a guida cinese? Il vero limite, almeno nel breve e medio periodo, del Progetto BRICS sta proprio nella presenza di interessi strategici molto spesso divergenti. L’India ha tutto da perdere dalla crescente assertività Cinese, con chi ha de facto una rivalità Regionale, e considera la Russia un buon fornitore di Armi e Petrolio, ma non un partner strategico. La Russia, dal canto suo, ci metterà molti anni a riassorbire il disastro assoluto della invasione dell’Ucraina, che la lascerà più debole, più povera ed anche più spopolata, aggravandone il già evidente calo demografico. Ed il comportamento erratico di Putin non fa altro che spingere ulteriormente le repubbliche centroasiatiche nella sfera cinese, per cui la “amicizia senza limiti” tra Russa e Cina si troverà presto a fare i conti con la rivalità su una storica area di influenza. Ed il rapporto finora ha beneficiato quasi esclusivamente la Cina che ha accesso privilegiato (e scontato) alle immense risorse energetiche del gigante Euroasiatico. E cosa può succedere con I nuovi arrivati? A parte Arabia Saudita ed Emirati, hanno tutti delle grandi debolezze interne, a partire dall’Iran, con il suo regime sempre più scollato dalle istanze delle sue decine di milioni di giovani, l’Etiopia, con i suoi diversi focolai di guerra e l’Argentina, che continua periodicamente a rischiare il default.
Riuscirà quindi il BRICS allargato a diventare una piattaforma realmente alternativa? A mio avviso moltissimo dipenderà dalla capacità dell’Occidente di capire che non si può restare asserragliati a difendere i perimetri esistenti e dalla capacità di “ingaggiare” India e Cina nel G20 e negli altri consessi internazionali, sulle grandi sfide globali come il cambiamento climatico.
Comunque queste riflessioni sulla eterogeneità di interessi non ci devono indurre a sottovalutare l’istanza di questo nuovo soggetto. Anzi, se i nuovi BRICS sapranno focalizzare gli sforzi, potranno ottenere sostanziali modifiche della governance globale. L’ultima cosa che possiamo fare, in Occidente, è sottovalutare questo sforzo da parte di un mondo, un tempo definito emergente, non ha più voglia di aspettare noi e le nostre liturgie.
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