La vicenda del Napoli, che ha subito la sconfitta a tavolino per 3 a 0 per non essere partito per Torino, ove era prevista la sfida con la Juventus, è nota. La squadra non era partita per ottemperare alle disposizioni date dalla Asl territorialmente compente e la questione è ancora sub iudice, dovendo essere decisa, dopo due gradi di giudizio, dal Collegio di Garanzia del CONI. A quella vicenda se ne aggiunge, oggi, un’altra analoga, ma questa volta sul piano internazionale. Domenica scorsa la partita Romania – Norvegia non è stata giocata, in quanto il Ministero della Salute norvegese aveva bloccato la partenza della nazionale a causa dei casi di Coronavirus tra i giocatori. Ebbene, è di poche ore fa la notizia che l’UEFA ha comminato il 3 a 0 a tavolino ai danni della Norvegia.

Un caso analogo potrebbe riguardare la partita Svizzera – Ucraina, anch’essa non giocata a causa della presenza nella rosa di quest’ultima di casi di Covid. La positività di tre giocatori era stata registrata addirittura nell’albergo, nel quale alloggiavano prima di recarsi allo stadio. A questo punto è inevitabile chiedersi se il mondo del calcio, che punisce con la sconfitta a tavolino le squadre che obbediscono alle disposizioni degli organismi sanitari pubblici, si trovi in un vero e proprio delirio di onnipotenza. Certamente, il mondo del calcio costituisce, nel suo insieme, una delle imprese di spettacolo di maggiore rilevanza nell’ambito dell’economia non solo europea, ma anche mondiale.

A questo si aggiunge che esso ha un forte valore simbolico per ciò che rappresenta e per l’attenzione che al medesimo dedicano i media. Ma tutto questo è sufficiente per collocarlo al di fuori e al di sopra di quelle che sono le regole generali, che la pandemia sta di fatto imponendo alle collettività di tutto il mondo? Per restare alla situazione italiana, la successione di provvedimenti che hanno man mano ristretto gli ambiti di libertà degli individui e soffocato milioni di attività economiche, lasciando i cittadini sul lastrico, come può conciliarsi con una regola secondo la quale, quando è in ballo la disputa di una partita di pallone, gli organi preposti alla gestione della salute pubblica perdono qualsiasi potere?

Può un protocollo elaborato dalla FIGC prevalere sulle regole che lo Stato ha dettato con riguardo a tutti i cittadini, rispetto a una materia quale quella della sanità pubblica, che è di esclusiva competenza dell’Autorità pubblica? Ciò tanto più ove si consideri che è proprio il mondo dello spettacolo uno dei più colpiti dalle nuove restrizioni: si pensi alla chiusura dei teatri, dei cinema e di qualsiasi altra forma di intrattenimento pubblico. D’altra parte, la situazione non è diversa se la si guarda in una dimensione internazionale. Per limitarsi alla sola Europa, sono note a tutti le restrizioni che Francia, Germania, Spagna, Belgio, Austria, etc. hanno imposto ai loro cittadini sacrificandone le attività produttive. La pretesa del calcio di potersi affrancare attraverso autonomi protocolli da quelle che sono regole valide per tutti appare del tutto ingiustificata. Ciò tanto più ove si consideri che la materia in gioco è quella della salute pubblica, su cui il mondo del calcio non può vantare nessuna competenza.

Ma c’è di più. Proprio per il valore simbolico che va riconosciuto allo sport in generale e al gioco del calcio in particolare, il messaggio secondo cui è punibile chi si attiene alle istruzioni che riceve dagli organismi pubblici competenti in materia di sanità e non ai protocolli elaborati dalle istituzioni sportive, manda un segnale fuorviante, capace di dare sostegno e alimentare la posizione di quei cosiddetti negazionisti, che costituisce una pericolosa spina nel fianco nella attuale gestione della pandemia. L’assurdità di quanto sta succedendo induce a pensare che il mondo del calcio ha la testa nel pallone!