Centrodestra in fiamme
Dal Papeete a Mondragone, Salvini cerca la rivincita estiva

Prima, Caldoro aveva un solo problema, si chiamava Salvini. Ora ne ha due, e il secondo è Armando Cesaro. Se poi i due continueranno ad azzuffarsi in pubblico, così come è già successo in queste ore, i problemi diventeranno tre, perché ai fuochi d’artificio del primo, che gli tolgono visibilità, e alle frecciate del secondo, premesse a una sottrazione di consensi, Caldoro dovrà aggiungere la personale difficoltà a tenere a bada i duellanti: il leader della Lega, in caduta libera da un anno a questa parte, e il figlio del più noto Luigi, berlusconiano della prima ora, ineguagliabile collettore di preferenze, più volte finito sotto inchiesta, ma finora mai condannato. A questo punto, l’elettorato potrebbe interpretare il disagio di Caldoro come la conferma di un non più giustificabile deficit di carattere. Tanto più che De Luca, già in vantaggio nei sondaggi, ha fatto proprio del decisionismo il tratto dominante del suo fare politica.
Per Caldoro sarebbe però il colmo, perché i guai comincerebbero proprio quando tutto, nel centrodestra, dava l’impressione di girare per il verso giusto: con Salvini che rinunciava al veto sulla candidatura a presidente dopo averla più volte bocciata, e con Cesaro jr autonomamente esclusosi dalla competizione elettorale per sgombrare il campo da pregiudizi sulla persona del padre, che proprio l’alleato leghista avrebbe fatto ricadere sull’intera coalizione. Insomma, sembrava il finale buonista di una bella favola. Invece, le premesse per un testacoda ci sono tutte. È singolare, infatti, che nell’annunciare il suo passo “di lato”, Cesaro jr abbia lanciato ben tre provocazioni, una più velenosa dell’altra. Ha cominciato invitando Caldoro a firmare l’appello per liste “pulite” lanciato dalla Ciarambino, cioè dalla candidata – tutt’altro che garantista – del Movimento Cinque Stelle.
Poi si è detto pronto a salire su un palco elettorale a sostegno del candidato presidente del centrodestra, ma a una condizione: che sullo stesso palco non ci sia anche il leader della Lega. Infine, si è rivolto a Salvini utilizzando una delle frasi più famose – e di sicuro tra le più citante sui siti web – di Filippo Turati, il padre del socialismo anti-massimalista. La frase è questa: «La ferocia dei moralisti è superata solo dalla loro stupidità». È tratta da un discorso parlamentare dell’11 febbraio del 1907, e vale tutto un programma. Per intenderci, è la stessa utilizzata da il Foglio di Giuliano Ferrara contro il Pd che chiedeva di portare in parlamento la questione morale sollevata dalle intercettazioni della D’Addario. La stessa, ancora, citata da Emanuele Fiano del Pd per difendere l’allora ministra Maria Elena Boschi dagli attacchi “volgari” di Marco Travaglio. Ma mai, come in questo caso, era stata utilizzata contro un alleato.
Ed eccoci a Salvini. Ieri è arrivato a Mondragone come un rugbista nella mischia. Contro aveva l’intero universo antileghista, da Saviano in giù, presente in modalità digitale. Ma era appunto quello che cercava. Da qui la tensione, il lancio di uova, gli insulti e il sabotaggio dell’impianto acustico. De Luca promette di trasformare il litorale domitio-flegreo, chissà quando, nella riviera romagnola del Mezzogiorno? Salvini è pronto a farne subito il contraltare del Papeete. E se lì cominciò la discesa dei consensi, a Mondragone Salvini è venuto per trovare la strada per la risalita. Il paradosso è però che, nella rissa, chi rischia di rimanere schiacciato è proprio Caldoro.
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