Dal rastrellamento del ghetto all’attacco di Hamas: l’orrore si ripete, e non è Fauda

L’orrore che si ripete come un incubo, 80 anni dopo, e non è Fauda, la famosa serie Netflix su un reparto speciale delle forze israeliane, piuttosto è la realtà. La ‘banalità del male’, con le stesse modalità, le stesse motivazioni, “è avvenuto, quindi può accadere di nuovo”, la previsione di Primo Levi che si avvera. Durante lo stesso giorno di festa, il sabato, praticamente negli stessi orari, all’alba. Ieri per estirpare gli ebrei dall’Europa, oggi per distruggere lo Stato di Israele.
Le coincidenze del terrore, l’esibizione dello scempio, l’odore del sangue. Le sneakers dei ragazzi che tentano di scappare dal rave party vicino alla striscia di Gaza, i proiettili sui bagni chimici, i massacri nei kibbutz, come l’asetticità delle liste dei proscritti, lo stridore dei camion all’inizio dei vicoli che conducono al Portico d’Ottavia, lo sferragliare degli otto convogli che partono carichi da Tiburtina. Due sabati neri, la stessa mattanza, lo stesso odio che si tramanda.

Il primo, il 16 ottobre del 1943. Il rastrellamento iniziò alle prime luci del giorno, intorno alle 5 e 30. Le 1.259 persone arrestate furono sorprese nelle loro case nel giorno festivo, da 365 uomini della polizia tedesca. Nessun quartiere venne risparmiato, oltre il ghetto: Trastevere, Testaccio e Monteverde tra quelli con il maggior numero di fermi. I nazisti con in mano gli elenchi degli ebrei cominciarono a salire casa per casa, sfondando le porte, consegnando agli abitanti terrorizzati un foglietto in sei punti dove era ordinato il trasferimento, senza altre indicazioni e che bisognava portare documenti, viveri per otto giorni, effetti personali, trasportare anche gli ammalati gravissimi perché a destinazione ci sarebbe stata un’infermeria. Il tutto in 20 minuti, una manciata di tempo per ordinare una vita, per dirgli addio. Dopo, la sistemazione provvisoria a palazzo Salviati, davanti al Tevere. A seguito di vari accertamenti, in 237 vennero rilasciati, mentre i restanti 1.023, deportati nel campo di concentramento di Auschwitz il 18 ottobre su carri bestiame partiti dalla stazione di Roma Tiburtina. Al loro arrivo 820 furono immediatamente inviati alle camere a gas, gli altri 196 selezionati come schiavi. Tornarono in Italia solo in 16, 15 uomini e una donna, Settimia Spizzichino. Nessun bambino si salvò.

Il più recente, il 7 ottobre scorso, intorno alle 5 di mattina, terroristi di Hamas, provenienti dalla Striscia di Gaza, entrano nel sud di Israele, conducendo un brutale attacco. Uomini armati aprono il fuoco per le strade di Sderot, uccidono centinaia di giovani che partecipavano a un rave e colpito diverse località. I terroristi prendono in ostaggio anche 150 persone, militari, civili, bambini. Così il male che torna, ha segnato la celebrazione dell’ottantesimo anniversario del rastrellamento del ghetto. Lo dice Lilliana Segre, intervistata nella puntata di esordio di ‘Che tempo che fa’: “Le violenze di questi giorni riportano a un tempo lontano, che pensavo non avrei più vissuto”.

L’operazione del ghetto ebraico di Roma avvenne in seguito a un ordine di Heinrich Himmler, ministro dell’Interno tedesco, (o attraverso il capo delle SS in Italia Karl Wolff) che, poche settimane prima aveva deciso il trasferimento degli ebrei residenti in Italia nei campi in Germania. L’esecuzione materiale fece capo a Herbert Kappler, capo delle SS e della Gestapo di Roma. Dopo aver ricevuto l’ordine, Kappler vide a Villa Wolkonsky Ugo Foà, presidente della Comunità ebraica di Roma, e Dante Almansi, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, chiedendo loro di consegnare 50 chilogrammi di oro entro 36 ore in cambio della salvezza per la comunità. “Non abbiamo bisogno delle vostre vite, né di quelle dei vostri figli, abbiamo bisogno invece del vostro oro. Entro 36 ore voi dovete versare cinquanta chilogrammi di oro, altrimenti duecento ebrei saranno presi e deportati in Germania”, fu la promessa.

Nonostante l’oro fosse stato consegnato e spedito a Berlino (anzi anche grazie a donatori non ebrei, si arrivò a 80 kg) da Himmler arrivò comunque l’ordine di procedere con il rastrellamento. L’operazione fu eseguita con il sostegno della polizia fascista italiana. Ad avvisare il comandante di Auschwitz, Rudolf Höss, dell’arrivo nel campo di più di 1.000 persone nella settimana seguente, ci pensò il solito Kappler. La retata romana è il più terribile (per consistenza) rastrellamento di ebrei in Italia. I tedeschi dopo l’8 settembre hanno avuto immediatamente le idee chiare sugli ebrei italiani, la famigerata ‘soluzione finale’. Fino a quel momento erano stati una merce di scambio con i tedeschi, da usare a seconda delle necessità del momento; dall’occupazione in poi la condizione degli ebrei cambierà radicalmente in peggio.

Così le manifestazioni di ieri sono avvenute nel segno della “coerenza che pretendiamo da chi intenda omaggiare con noi la memoria della Shoah, saper riconoscere il carnefice e i crimini perpetrati: 80 anni fa come oggi”, come ha ricordato la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi di Segni. Le celebrazioni, organizzate dalla comunità ebraica di Roma insieme con il Comune, e con la comunità di Sant’Egidio, hanno rischiato modifiche per motivi di sicurezza ma alla fine tutto è stato confermato. Nel pomeriggio la marcia della Memoria è partita dal Campidoglio per raggiungere il ghetto. In testa al corteo il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e il presidente della comunità ebraica della Capitale Victor Fadlun.