Il premier disegna la strategia
Dal Recovery alla giustizia decideranno i Draghi boys, ai partiti solo le briciole
Il governo Draghi ha preso forma. E non è né tecnico né politico, né “in continuità” né “in discontinuità” che sembra essere diventato lo sport di opinionisti, talk show e giornali alcuni dei quali già dileggiano il presunto “governo dei migliori”. È il governo Draghi. Punto. Lavorato nei minimi dettagli a propria immagine e somiglianza. Per rispondere alla mission del mandato con una squadra calibrata che, al di là di ministri e sottosegretari, sembra essere, questa sì, dei “migliori”.
Una rivoluzione silenziosa avvenuta soprattutto nelle ultime 48 ore. Che trova riscontro in due capitoli chiave: la deleghe dei ministeri e la nomina dei consiglieri particolari. Prende forma con chiarezza il fatto che le riforme chiave del mandato Draghi, dal Recovery fund alla Giustizia, saranno esclusiva competenza dell’ex presidente della Bce e dei tecnici da lui selezionati. Nel bene e nel male, non ci saranno alibi. Ieri mattina il Consiglio dei ministri ha approvato le nuove competenze di alcuni ministeri chiave: il Mite, il “nuovo” ministero della Transizione ecologica che assume su di sé molte deleghe chiave finora sparse soprattutto tra dicastero dell’Ambiente (cancellato) e ministero per lo Sviluppo economico; ha fatto nascere il ministero del Turismo, staccandolo dai Beni culturali e dotandolo di uno specifico portafoglio (a riprova dell’importanza strategica che Draghi dà a questo settore); ha cambiato mission al Ministero dei Trasporti diventato Ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili.
Una rivoluzione, appunto, con assegnazione di deleghe e poteri da una parte e svuotamenti dall’altra. Nella riunione del Consiglio dei ministri ci sono state “note di disaccordo” ma poi è andato tutto liscio. Il fisico Roberto Cingolani è il superministro del Mite che ha il suo quartier generale nel palazzo anni Settanta sulla Cristoforo Colombo dove fino a due settimane fa e per decenni ha abitato il ministero dell’Ambiente. Cingolani, oltre che responsabile delle “funzioni e dei compiti spettanti allo Stato relativi allo sviluppo sostenibile e alla tutela e alla valorizzazione dell’ambiente, del territorio e dell’ecosistema”, diventa titolare di alcune deleghe chiave: rinnovabili; decarbonizzazione; efficienza energetica; ricerca e nuove tecnologie energetiche clean; piano idrogeno e strategie di settore; decomissioning del nucleare (cioè lo smantellamento delle centrali); transizione sostenibile delle attività di ricerca e produzione di idrocarburi. Al Mise, cioè a Giorgetti ai sottosegretari Pichetto Fratin, Todde e Ascani, restano le competenze su “concorrenza e mercato” e “sicurezza fisica delle forniture di energia” e la vigilanza su Gme e Acquirente unico. Al Mite transita la vigilanza su Enea, Gse e Sogin.
I primi quattro articoli del decreto sono dedicati al Mite, una lista quasi illeggibile di commi soppressi e sostituiti che raccontano un passaggio organizzativo che in tempi di governi politici avrebbe richiesto anni, forse decenni e infiniti litigi. È stato fatto in silenzio e in appena dieci giorni di lavoro. L’articolo 5 del decreto è dedicato “all’istituzione e attribuzione del ministero del Turismo” (finora è sempre stata una delega che magari passava da un ministero all’altro). Qui la Lega con il ministro Massimo Garavaglia compensa quello che perde al Mise anche se Giorgetti resta il vero “premier politico” dell’esecutivo Draghi avendo “piazzato” uomini e donne di fiducia in tutti i ministeri che contano. L’articolo 7 spiega le disposizioni e le funzioni del nuovo ministero per l’Innovazione tecnologica (questo c’era già) che il manager-ministro Colao dovrà sostanziare con la “transizione ecologica”. Anche il ministero delle Infrastrutture e Trasporti, affidato a Enrico Giovannini, aumenti deleghe e poteri. E cambia, di conseguenza, nome: diventa il dicastero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili.
Ora, sappiamo che green, digitale e infrastrutture, e soprattutto la mobilità sostenibile, rappresentano l’80 per cento dei 209 miliardi del Piano di ripartenza e resilienza, il Recovery plan italiano. Questo 80% gestito da tre Draghi boys come Cingolani, Colao e Giovannini. A cui dobbiamo aggiungere Carlo Cottarelli che sarà, con il ministro Brunetta, l’uomo della riforma della Pubblica amministrazione. Se questi sono i registi del Piano, al Mef c’è la famosa cabina di regia. E qui danno le carte il ministro Daniele Franco, ex capo della Ragioneria dello Stato, uno che conosce a menadito il bilancio dello Stato (e Draghi).
Al suo fianco il premier ha nominato Carmine Di Nuzzo, successore di Franco alla Ragioneria: è lui mr. Recovery, il direttore cioè dell’unità di missione che farà “coordinamento e raccordo” del piano tra la Commissione europea e i singoli ministeri. Per completare la squadra, sono in arrivo i superconsiglieri del premier: Francesco Giavazzi all’economia; Mario d’Alberti agli Affari giuridici, che è come dire Sabino Cassese (ore contate per i Dpcm?); Giuseppe Remuzzi il consigliere per la pandemia, l’Anthony Fauci italiano. Se non sono i migliori, sono le eccellenze. E, senza nulla togliere a nessuno, è questo il vero governo Draghi.
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