Avanti! della Domenica
Dal reddito al lavoro di cittadinanza
Il reddito di cittadinanza risponde, male, a un’esigenza vera: fornire un reddito di base a tutti coloro che non hanno lavoro, o lo hanno perso, oltre che a coloro che non sono in condizione di lavorare. Mentre per i secondi la misura è adeguata e doverosa, per i primi è elevato fin quasi alla certezza il rischio che si finisca per trovare più comodo riscuotere un sussidio che lavorare. I socialisti una ricetta ce l’hanno; ha radici antiche e offre una risposta attuale: il lavoro di cittadinanza. Il saggio di Ernesto Rossi “Abolire la miseria”, settant’anni fa, avanzava la proposta di un Esercito del Lavoro, obbligatorio per i giovani, senza distinzione di sesso, dopo la scuola.
L’idea era di garantire beni essenziali per i più poveri in modo non puramente assistenziale, educando, nel contempo, i cittadini ai valori della solidarietà, dell’interesse collettivo, del rispetto di regole e disciplina, lavorando al servizio della comunità per la produzione di ricchezza comune. Questa, oggi, può essere l’evoluzione naturale del reddito di cittadinanza, ora, invece, concepito come puro assistenzialismo diseducativo: assistenza senza contropartita.
Occorre che il reddito di cittadinanza diventi lavoro di cittadinanza, con l’istituzione di un Corpo civile volontario inquadrato organizzativamente nella Protezione Civile, con compiti non solo di emergenza ma di manutenzione e prevenzione, affidato, sul piano funzionale, alle Associazioni d’Arma e alle organizzazioni di Protezione Civile. Settori di intervento: cura del dissesto idrogeologico, manutenzione del territorio, tutela dell’ambiente, conservazione del patrimonio artistico, manutenzione ordinaria degli edifici pubblici, decoro urbano.
Un Corpo civile organizzato logisticamente come un servizio militare disarmato, accessibile a tutti i maggiorenni dichiarati abili al servizio. Un modo più intelligente di distribuire reddito, trasformando una spesa improduttiva, assistenziale e profondamente diseducativa, in un investimento strutturale, quindi finanziabile anche in deficit senza violare i principi di stabilità del bilancio, con l’effetto formativo di migliorare il tessuto umano e civile del paese.
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