Dalla brutalità della polizia in Pakistan alla morsa della miseria in Afghanistan: quando le deportazioni di massa non fanno notizia

Lungo le alture battute da un gelido vento al confine tra Pakistan e Afghanistan, si agita una umanità alla deriva, incalzata dalla brutalità delle forze di polizia del Pakistan: centinaia di migliaia di profughi in fuga dal regime dei Talebani e dalla morsa della miseria che attanaglia un Paese roccioso e montuoso che pure nel corso dei secoli ha vinto imperi e spezzato il giogo di potenze coloniali e che oggi invece si aggomitola nella disperazione portata dall’islamismo radicale degli ex studenti coranici provenienti proprio dal confinante Pakistan. L’avviso, con scarso preavviso, brutale nello scenario che avrebbe avviato e realizzato, era giunto ad ottobre avanzato; le autorità pakistane hanno deciso di espellere dal Paese gli afgani privi di documenti e di titoli che ne legittimassero la permanenza in Pakistan.Numeri impressionanti, da esodo biblico; si parla di quasi un milione e seicentomila afgani che rischiano di essere allontanati con la forza, mentre si stima che a fine ottobre se ne siano volontariamente allontanati già quasi duecentomila, spaventati dai metodi scarsamente umanitari mostrati dalla polizia pakistana.

Non si va troppo per il sottile, da quelle parti. Testimonianze e video che arrivano da quelle latitudini sono impressionanti, non solo per queste distese brulicanti di una umanità fusa in migliaia di corpi, senza speranza e senza più lacrime da versare, ma per gli orridi resoconti di furti, rapine, violenze, sopraffazione, angherie a cui i profughi vengono sottoposti.Come se non bastasse, queste centinaia di migliaia di individui, uomini, donne, bambini, anziani, un intero popolo, mancano di tutto; cibo, vestiti, acqua. Le condizioni igieniche sono tremende e il clima in quelle zone soggetto, come noto, a repentini mutamenti, con passaggi da un caldo torrido e desertico al gelo innevato delle alture.Per rendere una sia pur vaga idea quantitativa del disastro che si sta consumando nella generalizzata indifferenza dell’opinione pubblica, si immagini la popolazione della intera città di Milano, a cui aggiungere quella di Catania, lasciata a bivaccare in una terra di nessuno, senza aiuto, ausilio, conforto, medicine, mezzi di sussistenza e di sostentamento.

L’indifferenze dell’Occidente

E proprio la indifferenza appare una delle caratteristiche più odiose per un Occidente che ha eretto i diritti umani a vessillo e stella polare del suo operato, un Occidente in cui giornali, politici, università, piazze, come ha sottolineato Federico Rampini, sono sempre pronti a indignarsi, a divampare, a reclamare giustizia, per la negazione di un qualunque vero o presunto diritto o per i respingimenti alle frontiere e adesso pure per i centri di permanenza degli immigrati in Albania, serbando poi invece un indecoroso, claustrale silenzio su quella che è una delle più massicce e inumane deportazioni di massa mai viste. Gli afgani fanno poca notizia. Sperduti in quel quadrante geografico anche scarsamente individuabile da molti sulle cartine geografiche, di scarsissimo appeal mediatico-politico, senza grandi difensori della loro causa, sembrano contare assai meno della furiosa sarabanda montata per Gaza e per la causa palestinese, spesso pure trascolorante nel sostegno al vessillo di Hamas.

Per questi sconfitti dalla storia e dalla ipocrisia dell’Occidente che fa gargarismi coi diritti umani, per questi miserabili, nel senso che fu proprio di Hugo, nessuno srotola striscioni dai balconi, nessuno organizza petizioni, con o senza asterischi, nessuno occupa le facoltà o interviene nei salotti televisivi, reclamando un sia pur minimale briciolo di attenzione.

Nel mondo islamico

Di certo non va meglio nemmeno nel mondo islamico, dove però l’ipocrisia si era già snudata con gli stessi palestinesi. Tanto roboanti e minacciose erano state certe dichiarazioni di sostegno alla popolazione di Gaza, quanto nullo era stato l’interesse concreto ad ospitare i rifugiati in fuga da Gaza e da Hamas, più che dalle bombe israeliane.E così poco sorprende constatare quanto nulla davvero importi della sorte di questi loro sfortunati correligionari, che vengono espulsi, cacciati, sovente bastonati, da altri loro correligionari, in un corto circuito la cui prima vittima è il senso di umanità. Le sinistre mondiali poi, quelle che hanno caldeggiato qualunque genere di accoglienza, e che si sono battute contro le politiche a loro dire razziste e tiranniche di respingimenti, di contingentamento e secondo le quali non esistono confini o barriere o perimetri nazionali, muoiono lungo quella direttrice che divide Afghanistan e Pakistan e dentro cui si perde, si dipana, si attorciglia un oceano di corpi alla deriva, abbandonati e dimenticati da tutti.E viene quindi il sospetto che una certa richiesta di umanità fosse solo strumentale formula di polemica politica, piccina e contingente.E ora in questo oblio collettivo, si dimentica la lezione formulata da Kant, “agisci in modo da considerare l’umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche come fine, e mai come semplice mezzo”