Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato”, diceva Einstein con qualche ragione. Eppure, non appena il presidente Usa Joe Biden, domenica, ha annunciato il ritiro dalla corsa alla Casa Bianca e indicato nella sua vice, Kamala Harris, la possibile candidata dei democratici, sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo campeggiavano articoli densi di numeri: sondaggi, previsioni, delegati, donazioni. Tutti numeri destinati a cambiare molto presto, man mano che il mondo digeriva la notizia che attendeva da settimane. Per le analisi si poteva ancora aspettare, dunque.

Così, lunedì mattina, un sondaggio condotto da Morning Consult – il primo da quando Biden si è ritirato dalla corsa – dava a Trump un vantaggio di due punti su Harris, al 47 percento contro il 45 percento. In netto calo rispetto ai sei punti di vantaggio di cui godeva l’ex presidente sull’81enne in carica.

Ma già martedì mattina molto presto, secondo il mercato delle previsioni politiche PredictIt – condotto nelle 24 ore precedenti – la probabilità implicita di una vittoria di Harris era aumentata dal 38 al 42%. E quella che Trump prevalga è scesa dal 59% al 56%.

Trump-Harris, stesso discorso vale per altri numeri

Secondo il più recente conteggio dell’Associated Press, Harris ha ottenuto il sostegno promesso da 2.668 delegati alla Convention nazionale democratica del mese prossimo, molti di più dei 1.976 necessari. Quanto alle altre, più sostanziose cifre che indicano i finanziamenti della campagna che la vice di Biden ha appena avviato, il Financial Times documenta in queste ore un’impennata nella raccolta fondi: nelle prime 24 ore dopo il ritiro del presidente, la sua campagna ha raccolto la cifra record di 81 milioni di dollari in contributi più di quanto Biden abbia raccolto nei primi due mesi della sua candidatura.

Sondaggi e fondi, come comprendere i numeri di Trump e di Harris

È chiaro che a più di 100 giorni dalle elezioni statunitensi del 5 novembre, i dati riportati sono destinati a cambiare e cambiare ancora, forse in modo radicale, se la storia recente ci insegna qualcosa. I numeri, grandi o piccoli che siano, non sanno parlare. Sono come i bambini piccoli: necessitano di attenzione e guida. Hanno bisogno di essere compresi. E il loro significato può cambiare di continuo, sta a noi riuscire a leggerlo.

Si chiama “principio del mondo stabile” e ne scrive nel suo saggio “Perché l’intelligenza umana batte ancora gli algoritmi”, Gerd Gigerenzer, direttore dell’Harding Center for Risk Literacy all’Università di Potsdam: i numeri, come gli algoritmi, “funzionano al meglio in situazioni ben definite, stabili, in cui sono disponibili grandi quantità di dati. L’intelligenza umana, invece, si è evoluta in modo da gestire l’incertezza a prescindere dalla quantità di dati disponibili”.

Il principio del mondo stabile trova applicazione anche nella previsione del futuro. Per predire accuratamente il futuro, è necessario disporre di una buona teoria, di dati affidabili e di un mondo stabile. Che però non esiste “in natura”: “È quel che succede quando si prevedono i risultati elettorali: in queste situazioni, il calcolo non è sufficiente; abbiamo invece bisogno di discernimento, intelligenza, intuizione e coraggio”, scrive Gigerenzer.

Questo ragionamento ricorda un episodio molto popolare della fiction britannica Black Mirror – serie antologica sulle sfide poste dall’introduzione di nuove tecnologie – dal titolo “Nosedive” (Caduta libera): in un mondo f uturo, ogni persona indossa lenti a contatto che zoomano qualunque altra che le compaia davanti. Queste lenti hanno un potere speciale: mostrano immediatamente i nomi di chiunque inquadrino ma soprattutto i loro punteggi sociali. Come nel caso dei prodotti Amazon, ciascuno ha un punteggio da 1 a 5.

Dare un voto è semplice: tutto quel che si deve fare è digitare un punteggio sul proprio smartphone e puntarlo sulla persona in questione. Vivendo in questo futuro, la protagonista Lacy fa qualunque cosa per piacere alle altre persone e comportarsi in modo da guadagnare più punti: ma la sua vita finisce per ruotare sempre di più intorno a quel maledetto punteggio. E, come suggerisce il titolo, alla fine i suoi sforzi vanno a rotoli.

“Caduta libera” è fantascienza, ma i punteggi di “credito sociale” no

Guidati dalla Cina, vari governi in Asia, Sudamerica e Africa, compresi Thailandia, Myanmar, Vietnam, Venezuela e Tanzania hanno introdotto punteggi di credito sociale per individui e aziende, o hanno annunciato l’intenzione di farlo. L’obiettivo?  Migliorare il comportamento morale delle persone, eliminare la corruzione e creare una cultura della “sincerità” e dell’“armonia”. E i sondaggi indicano che la maggior parte dei cittadini cinesi è favorevole a questo sistema di controllo sociale, in cui l’appropriatezza di un comportamento è determinato dai governi e dalle grandi aziende hi-tech: la società cinese è radicata in una versione confuciana di collettivismo, in cui il “bene maggiore” prevale sui diritti individuali, il controllo sociale sulla libertà individuale.

Ma il mondo reale, per restare libero e democratico, non ha bisogno di paternalismo tecnologico, come può fare a meno del panico tecnofobico. Ha, piuttosto, bisogno di cittadini critici che vogliono esercitare il controllo sulle loro vite in prima persona.

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Ho scritto “Opus Gay", un saggio inchiesta su omofobia e morale sessuale cattolica, ho fondato GnamGlam, progetto sull'agroalimentare. Sono tutrice volontaria di minori stranieri non accompagnati e mi interesso da sempre di diritti, immigrazione, ambiente e territorio. Lavoro in Fondazione Luigi Einaudi