Che fine hanno fatto i cento militari russi presenti nella lista di coloro che dovevano “prestare assistenza nella lotta contro l’infezione da coronavirus” nel marzo 2020 in Italia e poi non presenti nelle relazioni parlamentari sulla “missione umanitaria”, dove erano registrati ‘soli’ 130 nominativi?

È il giallo di cui parla oggi il Corriere della Sera in un articolo di Fiorenza Sarzanini che torna sulla missione “Dalla Russia con amore”, la missione umanitaria al centro di polemiche ormai da mesi. Nella giornata di ieri, martedì 19 aprile, il Corsera aveva pubblicato una prima parte dell’inchiesta in cui svelava il contenuto di alcune email inviate nel marzo 2020 dall’ambasciata di Mosca a Roma per pianificare l’arrivo del personale in Italia.

Mail in cui si evidenziava chiaramente l’intenzione russa di “bonificare” le strutture pubbliche italiane, così come della necessità da parte del governo di coprire le spese del contingente spedito nel nostro Paese, il tutto grazie ad un accordo raggiunto tra l’allora premier Giuseppe Conte e il presidente russo Vladimir Putin.

Sono state preparate brigate mediche con impianti e attrezzature necessarie per prestare assistenza d’urgenza e curare gli ammalati. Si prevede di inviare i mezzi speciali per la disinfestazione di strutture e centri abitati nelle località infette”, si legge in una mail inviata alle 8,48 del 22 marzo 2020.

Obiettivo, quello di ‘sanificare’ le strutture pubbliche, che poteva nascondere in realtà il reale obiettivo di Mosca: quello di una operazione di intelligence sul territorio italiano. A bloccare il tutto era stato il generale Luciano Portolano, comandante del Coi (Comando operativo interforze) che sarà sentito dal Copasir prossimamente sulla questione assieme all’ex capo di Stato Maggiore della Difesa Enzo Vecciarelli.

Altro mistero da chiarire riguarda però proprio il personale che da Mosca è atterrato in Italia. Nelle relazioni parlamentari risultano 130 nominativi, cento in meno rispetto alla lista indicata da Sergey Kikot, vice comandante del reparto di difesa chimica, radiologica e biologica dell’esercito russo a capo dell’operazione “umanitaria”.

Di questi solo 32 avevano realmente a che fare con scienze mediche, gli altri erano militari agli ordini di Kikot. Ma gli altri 100 non presenti nelle relazioni? Nessuna traccia, possibile che ci siano stati cambi non comunicati?

Ma al termine della missione non si è trovata traccia neanche degli aiuti promessi da Mosca. In cambio di una spesa di oltre tre milioni di euro da parte del governo Conte, per vitto, alloggio e carburante dei russi, dal Cremlino doveva arriva tramite voli quotidiani dal 22 marzo al 14 aprile 2020 degli aerei con a bordo il personale medico, “dispositivi di protezione, l’attrezzatura medica e i mezzi per la lotta contro il coronavirus”.

Ebbene, come si è scoperto solo successivamente, in Italia furono consegnate solo “521.800 mascherine, 30 ventilatori polmonari, 1.000 tute protettive, 2 macchine per analisi di tamponi, 10.000 tamponi veloci e 100.000 tamponi normali”.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia