L'analisi
Dalla scommessa di Macron, al miracolo dell’avvocato Starmer: i nuovi governi passano per il centro, ma in Italia manca ancora qualcosa
In Francia l’area centrista è l’ago della bilancia per un esecutivo riformista, Starmer si afferma in UK emarginando la sinistra radicale. Da noi c’è un vuoto
C’è un centro che sembra collassare ma invece giunge alla vittoria in forma mimetica. È l’epopea di Macron – che si snoda simmetrica e opposta a quella lepeniana – a fotografare nella sua fase più delicata la curva, prima discendente e poi tornata a vincere, di un leader centrista che ha scommesso sulla razionalità degli elettori lavorando lungo purissimi ragionamenti politici e concedendo assai poco agli strumenti dell’empatia. Dopo il nefasto voto europeo – e dopo un tempo prolungato di estenuazione per le difficoltà economiche, di bilancio, di sfaldamento sociale e di appannamento dell’immagine in patria, pur continuando a mantenere un profilo alto nel contesto internazionale – Macron ha azzardato il voto anticipato subitaneo, scommettendo sull’antica intolleranza alle parole d’ordine fasciste dei francesi. Gli esiti raccontano di un risultato politico di indubbio valore che – nonostante la perdita netta di un’ottantina di parlamentari per il partito del presidente – ha consentito all’area centrista di proporsi come perno di un possibile governo con la sinistra riformista.
I primi passi di Starmer
Attraversiamo la Manica per dare uno sguardo anche all’altro protagonista di queste settimane elettorali: il nuovo premier inglese. I media italiani hanno raccontato con una certa meraviglia i primi passi di Starmer, il laburista britannico chiamato – con la pragmatica immediatezza del sistema inglese – a capo del nuovo governo. Certo, visto dal lato della scena politica italica (inchiodata nella gabbia dello schema “amico/nemico” e del “noi non facciamo prigionieri”) l’incipit del leader dei Labour, pieno di parole rispettose per il past-premier e avversario Sunak, con passaggi che ne apprezzano l’azione “in un momento difficile per il paese”, dev’essere apparso quasi lunare. La nostra dialettica politica ha abbandonato da anni quella prosa (democristiana?) accettabilmente “civile”, lasciando il posto al turpiloquio, alla violenza lessicale, ai nobili dialoghi De Luca-Meloni, al vannaccismo concettuale e al salvinismo verbale.
Il miracolo dell’avvocato
Problema antropologico? Forse. Probabilmente riparabile con un po’ di buone maniere. Chi ha fatto, allora, il miracolo di conquistare 412 seggi, pari al 63,38% della Camera dei Comuni, dopo la lunga e trista stagione di Corbyn che condannò nel 2019 al più brutto risultato laburista della storia, è un avvocato londinese, sir Keir Starmer. A cui va riconosciuto il merito di aver modificato la percezione che la pubblica opinione ha del partito, emarginando la sinistra radicale e conquistando i ceti medi. Anzi, ha fatto di più: ha espulso dal partito Corbyn, che ha rappresentato – per una parte significativa del corpo elettorale – la ragione dell’inaffidabilità del Labour. Il terzo rilevante episodio riguardante l’area culturale cosiddetta cattolica-democratica che ha visto, nei primi giorni di luglio, dialogare a Trieste per le “settimane sociali” pensatori laici ed Ecclesia intorno al tema della democrazia e dell’impegno dei credenti.
Sintonia tra Mattarella e il Papa
Significativa è apparsa la sintonia tra Mattarella e il Papa, entrambi ospiti dell’evento, intorno al dovere civico (ma non solo laico) di difesa della democrazia attraverso l’adesione al dettato costituzionale. Il riferimento non ha niente di rituale: gli articoli due e tre della Costituzione, che parlano di eguaglianza e solidarietà ponendosi come pilastri assoluti della Carta, sicuramente debbono ai costituenti Dossetti, La Pira e Moro in particolare, il contributo più importante e – peraltro – non incompatibile con le culture progressiste e solidali. Si situa dunque in un contesto laico, ma ispirato da una visione solidale cattolica il riferimento alla Costituzione che Francesco ha voluto recuperare per mettere nelle mani dei cattolici i due documenti fondamentali della dimensione civile, appunto, e di quella religiosa che si esprime attraverso il Vangelo. La dimensione democratica è naturaliter in continuum con quella cristiana e così pure l’impegno civile, e dunque non è compatibile con la condotta di vita cristiana e solidale il disimpegno dalla politica. E, ovviamente, non è compatibile una militanza politica che neghi in radice quei valori che partecipano della dimensione cristiana e di quella costituzionale.
La forza attrattiva del centro
Cosa raccontano i tre episodi del luglio 2024 appena evocati? Innanzitutto che – seppure in un quadro assai diverso dal passato – il centro continua a esercitare, anche nei contesti bipolari, una forza attrattiva determinante e comunque necessaria per guadagnare il consenso maggioritario, perché evita la collisione tra due antagonismi. Inoltre risulta chiaro che la natura del centro è plurale ed inclusiva. In ultimo il centro è contenuto politico, per le progettualità democratico-liberali e democratico-sociali in particolare, per l’afferenza a un’idea condivisa di europeismo e di molto ancora, soprattutto nella sfera dei nuovi diritti ma è anche l’adesione a un metodo di azione che rifugge anche la violenza delle parole e persegue la civiltà nei rapporti politici. E ci fermiamo qui. Perché la domanda che sorge spontanea (“perché in Italia no?”) potrebbe lasciare sospese le sue risposte. Almeno quelle politiche.
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