Beppe Grillo e Giuseppe Conte vivono quest’avvio di luglio da separati in casa. Le posizioni rimangono distanti mentre il silenzio stampa perdura, non lasciando supporre niente di buono. E che la situazione tra i due fronti – contiani da una parte, grillini dall’altra – sia davvero bloccata lo dimostra la discesa in campo di Danilo Toninelli, ultima spiaggia tra i due fronti: lo incontra Luigi Di Maio a Palazzo Madama, nella mattinata di ieri, per provare a mediare su uno Statuto che possa conciliare le esigenze di “istituzionali” e “movimentisti”.

Gli articoli su cui i limatori sono al lavoro sono quelli che attribuiscono le prerogative al fondatore e garante e che investono il capo politico della nomina dei segretari regionali e dei comitati tecnici. La grana del limite dei due mandati è delegata a una decisione del comitato etico, fuori dallo Statuto. Ma la selezione del personale politico, in sostanza, ricadrebbe tutta nelle mani di Conte; per un partito che deve perlomeno tentare di rispondere agli appetiti dei tanti vincitori delle ultime parlamentarie, la traversata del deserto è comunque poco piacevole. Quando chiamiamo il giovane assistente parlamentare per testare gli umori, va giù dritto: «Siamo andati a bere in piazza di Pietra, come si fa nei film americani dopo il funerale». Il lutto riguarda i seggi che verranno a mancare, alla prossima chiamata alle urne. I sondaggi hanno colpito allo stomaco il corpo di un M5S già sfibrato da settimane tesissime.

Il sondaggista Fabrizio Masia, EMG Different, registra la frana del Movimento passo dopo passo. «Ma gli elettori fino a poco fa credevano ancora ad un M5S. Il dato registrato oggi è più basso, anche se non di molto da quello registrato per le europee, ed ha quasi del miracoloso. Ma la disaffezione si inizia a percepire», ci dice. Il bivio è esiziale: «O si ricompatta il progetto, riunendo le due parti in una unità anche estetica, di grande condivisione pubblica, oppure si prende la strada senza ritorno della rottura». Contiani e grillini non si dividerebbero in parti uguali, secondo le analisi di Masia. «Chi ne beneficia è l’ipotetico partito di Conte, che vale tra il 10 e il 15%. Dei Cinque Stelle duri e puri, legati a Grillo e Casaleggio rimarrebbe un 6, massimo 7%. Se il radicalismo pentastellato gioca alla marginalità, si condanna a fare un partitino di nostalgici. In una logica uninominale scompariranno, poi magari con un sistema puramente proporzionale risulta utile anche il 6 per cento».

Antonio Noto, altro sondaggista che monitora il consenso dei Cinque Stelle in questa fase critica, vede la prospettiva più infelice e al Riformista dice: «Il Movimento non si salva da solo e non si salva con Conte. Se diventa lui il leader del M5S la tendenza non cambia». Il trend è al ribasso e più passa il tempo, più gli elettori si disamorano. È sulla bandiera ideologica della giustizia che il M5S punta le ultime disperate armi. Gli occhi sono puntati sulla riforma Cartabia della prescrizione, che gli orfani di via Arenula vedono come fumo negli occhi. Un “big” grillino parla con AdnKronos sotto garanzia di anonimato. «Dobbiamo ancora capire la direzione che il Movimento adotterà», spiega la fonte interna, confermando che la mediazione della numero uno di via Arenula «certo non ci sta bene, sconfessa la nostra riforma», ma arrivati a questo punto «diventa difficile uscirne».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.