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L'analisi
Datacenter, tanto sforzo e poca energia pulita. Il rischio blackout
Mentre da Bruxelles si continua a incensare pubblicamente le energie rinnovabili, promettendo un futuro alimentato esclusivamente da sole, vento e altre fonti “pulite”, la realtà energetica dei datacenter racconta una storia molto diversa. Questi centri, che costituiscono il cuore pulsante dell’economia digitale, richiedono una fornitura continua e affidabile di energia baseload. Secondo alcuni recenti stime, entro il 2030 i datacenter assorbiranno circa il 21% della produzione mondiale di elettricità. Un quesito rivolto a ChatGpt consuma energia fino a 33 volte in più rispetto a una ricerca svolta su Google. E questa domanda non può essere soddisfatta dalle energie rinnovabili intermittenti come l’eolico e il solare.
Il bisogno di energia
I datacenter non dormono mai. Elaborano miliardi di transazioni, archiviando dati e alimentando sistemi di Intelligenza Artificiale, motori di ricerca e piattaforme di streaming: il tutto a un ritmo incessante e senza interruzioni. Anche un’interruzione minima può comportare costi esorbitanti per aziende e utenti. Questo bisogno di continuità contrasta con la natura imprevedibile delle energie rinnovabili: il sole non brilla di notte e il vento non soffia sempre. Soluzioni come le batterie per immagazzinare energia sono ancora immature su scala globale, troppo costose e inadatte a coprire lunghi periodi di bassa produzione.
I datacenter dipendono ancora da fonti tradizionali
Per garantire un flusso energetico stabile, i datacenter dipendono ancora da fonti tradizionali come il gas naturale e il nucleare. Queste fonti offrono ciò che le energie rinnovabili non possono fornire: prevedibilità e affidabilità. Il gas naturale, in particolare, è un’opzione flessibile, capace di compensare i cali di produzione delle rinnovabili. Allo stesso tempo, il nucleare rappresenta la quintessenza dell’energia baseload: non è influenzato dalle condizioni atmosferiche e produce enormi quantità di elettricità senza emissioni dirette di carbonio.
Le fonti rinnovabili possono certamente integrare la rete energetica, contribuendo a ridurre le emissioni complessive, ma affidarsi esclusivamente a esse non solo è un’illusione ma anche controproducente in quanto spinge strutturalmente al rialzo i prezzi dell’energia. Lo stesso Ceo di Rwe, la più grande azienda di utility tedesca, nei giorni scorsi ha confermato inequivocabilmente come la Energiewende (la transizione energetica in salsa teutonica) sia fallita in quanto non riesce a fornire abbastanza elettricità 24 ore su 24, 7 giorni su 7, provoca regolari picchi di prezzo dovuti a carenze e pone rischi per l’affidabilità della rete elettrica della Ue.
Insomma, più si spinge sulle rinnovabili senza energia baseload, più si rischieranno in futuro blackout. Anche nei casi in cui aziende tecnologiche come Google o Amazon vantano il raggiungimento di obiettivi “carbon neutral”, spesso ciò si basa su acquisti di certificati di energia verde, che mascherano una realtà ben diversa: i datacenter continuano a essere alimentati da gas, nucleare o persino carbone.
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