L'editoriale
Dazi e guerra: due conflitti paralleli condotti da dittatori. Per salvare l’Europa serve la via federalista

Siamo nel mezzo di due conflitti paralleli, insidiosi e inquietanti. Il primo si combatte con le armi, nelle trincee e nei cieli d’Europa e del Medio Oriente. Il secondo si consuma nei mercati e nei salotti della finanza globale, dove si muovono capitali, valute e catene di approvvigionamento come pedine su una scacchiera invisibile. In entrambi i casi, a muovere le fila sono attori che si percepiscono forti: chi dispone di arsenali militari smisurati e chi controlla i gangli vitali dell’economia mondiale.
La logica della sopraffazione
Ma vi è un altro aspetto, forse ancora più preoccupante: chi conduce questi attacchi lo fa senza il freno della propria opinione pubblica. Opera in un sistema dittatoriale, o perché si affida a maggioranze democratiche schiaccianti. La logica della sopraffazione fa premio su ogni cosa. Questi modelli politici – autoritari o populisti – non credono né nella pace che presuppone reciprocità e parità, né nel commercio come scambio regolato dalla fiducia, dalla convenienza e dal principio qualità-prezzo. Per loro, ogni relazione è uno strumento di dominio o una leva per l’egemonia. E qui sta il punto: nessuna società libera può pensare di restare tale se non prende atto della natura predatoria di chi la minaccia e non si attrezza per respingere quei pericoli.
La debolezza
Da sempre, la violenza si accanisce contro chi è percepito come debole. Se poi quella debolezza si accompagna a ricchezza, disunità e permeabilità alle pressioni esterne, il gioco è fatto. La logica è la stessa che muove la criminalità organizzata: si penetra il tessuto sano, lo si svuota dall’interno, lo si rende docile. Chi predica la pace senza preoccuparsi della sicurezza, o la neutralità senza considerare i rapporti di forza, finisce per spalancare le porte all’aggressore. In Italia, purtroppo, larghi settori del populismo – sia di destra che di sinistra – non colgono la portata della minaccia. Ancorati a vecchi riflessi sovranisti o a nostalgie ribellistiche, si riconoscono in una sorta di nuovo internazionalismo rovesciato, che finisce per coincidere con le strategie del putinismo e del trumpismo. Lo stesso avviene in altri Paesi europei, dove il fronte anti-europeista si nutre di visioni divergenti ma convergenti nella volontà di indebolire l’Unione.
L’Europa è il bersaglio
Ed è proprio l’Europa il bersaglio. Un’Europa che si sta faticosamente orientando verso una struttura federale, dotata di una propria politica estera, una Difesa comune, una capacità tecnologica autonoma. Per i suoi avversari, tutto ciò va fermato, e subito. Perché una volta raggiunta quella massa critica, l’Europa diventerebbe un attore geopolitico troppo solido per essere manipolato. Chi ha consapevolezza della posta in gioco ha dunque una responsabilità: costruire un’alleanza ampia, capace di contrastare ogni tentativo di sabotaggio. I populisti sovranisti hanno oltrepassato i vecchi steccati di appartenenza; i loro avversari devono darsi nuove risposte e allearsi. Occorre difendere il progetto europeo, accelerarne l’integrazione e proteggerne lo sviluppo tecnologico, la sicurezza collettiva, la dignità istituzionale.
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