Economia
Dazi, l’allarme di Confcommercio su inflazione e occupazione: “Non ci sarà più l’equilibrio”

L’entrata in vigore dei “dazi trumpiani”, annunciata dal presidente americano per “far tornare l’America ricca”, ha suscitato preoccupazioni nell’Unione europea. Non solo per l’aumento delle imposte, nell’ordine del 20% e 25% per le automobili, ma anche perché colpiscono in modo più profondo il funzionamento dell’Unione stessa. Il PIL italiano, secondo il centro studi di Confcommercio Milano, nel quarto trimestre 2024 è cresciuto dello 0,6% rispetto al quarto trimestre 2023, a quota 483,534 miliardi di euro. Il nostro Paese storicamente riveste un ruolo molto rilevante come Paese esportatore: nel corso del 2024, l’Italia era il secondo Paese europeo a livello di esportazioni. Gli Stati Uniti nel quarto trimestre 2024 sono stati il nostro secondo partner commerciale, con un valore di oltre 16,8 miliardi di euro di beni e servizi che l’Italia ha esportato, pari a circa il 10,5% sul totale.
Gli Usa importano dal nostro Paese il Made in Italy: cibo, vino, moda, design ma anche macchinari, prodotti chimici e farmaceutici. Le imprese italiane che esportano negli Stati Uniti si troveranno di fronte a scelte cruciali per gestire l’impatto delle tariffe aggiuntive. Due delle strategie più probabili saranno l’assorbimento dei costi attraverso una riduzione dei margini di profitto oppure il rialzo dei prezzi di vendita. Quest’ultima opzione, però, potrebbe contribuire all’aumento dell’inflazione negli Usa, scoraggiando i consumatori americani dall’acquistare prodotti italiani. Nella fase iniziale è plausibile che le aziende italiane che operano sul mercato statunitense adeguino i listini, con un incremento medio del 10%, per limitare le perdite e mantenere la sostenibilità economica.
Un altro rischio è la possibile perdita di rapporti commerciali consolidati. Se i partner americani trovano alternative più convenienti in altri Paesi, potrebbe essere difficile riconquistare il mercato anche nel caso di una futura rimozione dei dazi. L’inasprimento delle politiche protezionistiche potrebbe portare a un indebolimento delle relazioni economiche tra Italia e Usa, con un impatto non solo sulle esportazioni ma anche sugli investimenti diretti. Delocalizzare la produzione o aprire sedi negli Stati Uniti per aggirare i dazi avrebbe ovviamente pesanti ripercussioni sull’occupazione in Italia.
“Il protezionismo non giova a nessuno, né a chi lo propone né a chi lo riceve – spiega Riccardo Garosci, vicepresidente di Confcommercio con delega all’internazionalizzazione – e la reazione di proporre altri dazi crea inflazione soprattutto all’interno del mercato americano. Ci saranno sicuramente dei contraccolpi. Non ci sarà più l’equilibrio che ha retto tutti questi anni. La strada è quella del dialogo e l’Italia deve parlare con la voce unica dell’Unione europea”.
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