Al Vinitaly, il salone internazionale dei vini e dei distillati in corso di svolgimento a Verona, il mondo del vino italiano cerca di parare il colpo ricevuto dai dazi imposti da Donald Trump. In visita lunedì in fiera, il commissario europeo per l’agricoltura e l’alimentazione Christophe Hansen si è professato “ottimista” circa l’iter di approvazione del ‘Pacchetto vino’ predisposto dall’Ue che contiene misure per la semplificazione della promozione: “dovrebbe andare veloce, spero nell’approvazione entro l’autunno”.

Insieme ad Hansen, ha visitato la fiera anche Olivér Várhelyi, il commissario europeo per la salute. Al centro del confronto con il ministero per l’agricoltura italiano, le strategie di semplificazione normativa e apertura di nuovi mercati per il comparto vitivinicolo. Nel corso della seconda giornata del Vinitaly, la dirigenza di Veronafiere ha incontrato una delegazione di 30 importatori americani di vini, parte dei tremila operatori presenti all’evento. Le presenze istituzionali e commerciali confermano la centralità della fiera veronese, ma non rasserenano gli animi di molti produttori presenti.

Tra i più critici nei confronti dei dazi imposti dalla Casa Bianca c’è Matteo Lunelli, presidente di Bisol1542 e Ceo del Gruppo Lunelli che annovera tra gli altri il celebre brand spumantistico Ferrari. “Noi non abbasseremo i nostri prezzi di vendita. Sappiamo che i distributori non sono disposti a compartire l’impatto delle tariffe e pertanto lo ribalteranno sul consumatore. E anche l’importatore avrà le sue difficoltà”, avverte Lunelli.

Le associazioni che rappresentano gli interessi delle imprese vitivinicole italiane sono sul piede di guerra. “Dagli Usa arrivano le prime lettere dei distributori non disposti ad accettare alcun sovraprezzo sui nostri vini”, dice Lamberto Frescobaldi, presidente di Unione italiana vini. E segnala “la bagarre su chi dovrà assumersi l’onere dei minori ricavi per assicurare la stabilità dei prezzi al consumo”. Ma avvisa: “Le imprese italiane non devono cedere ma imporre la propria forza commerciale su un prodotto che arricchisce in primis la catena commerciale statunitense. Tutta la catena, dalla produzione al punto vendita, deve sacrificare parte dei ricavi per garantire listini invariati al punto vendita, pena l’uscita dal mercato di tante realtà del nostro settore”.

Del resto, aggiunge Matteo Lunelli, “quella di Trump è una manovra sorprendente che porta danno a tutti, soprattutto al consumatore americano. Ma i problemi riguarderanno tutta la filiera della commercializzazione in America: si parte dall’importatore, per passare al distributore, infine al ristoratore. Con questa iniziativa saranno penalizzati tutti i nostri partner in America”. In pratica funziona così: l’importatore negli States deve subito pagare alla dogana l’ammontare del dazio. Se, per ipotesi, importa un carico di vino del valore di 200mila dollari è costretto a pagare 40mila dollari all’ingresso solo per riceverlo: una vera e propria batosta che per le aziende piccole e medie può diventare letale al punto da costringere a chiudere e uscire dal mercato.

Una cosa sembra certa: il prezzo dei vini negli Usa aumenterà. “L’aumento dei prezzi al consumo sarà inevitabile. Il consumatore americano, pur curioso e aperto alle novità, è molto più fedele a una fascia di prezzo che a un’etichetta. Se il loro vino preferito supera quella soglia, non lo seguiranno: cercheranno qualcosa di nuovo che rientri nel budget”, spiega Charles Lazara, importatore Ceo di Volio Imports, un importatore e grossista di vini con sede a Denver, in Colorado.

I consorzi fanno i conti. Antonio Rallo, presidente del Consorzio di tutela vini doc Sicilia, avverte che “il valore della produzione di vino siciliano è di circa 1 miliardo di euro, tra il 55% e il 60% di questo valore è destinato all’export: sono circa 550 milioni di euro. Di questo, il 20% è diretto verso gli Stati Uniti, ovvero circa 120 milioni. Una misura di questo tipo, se confermata, potrebbe impattare sensibilmente sul nostro export in quel mercato”. Come spiega Federvini, tra export, dazi e trasformazione radicale dei consumi tra i giovani, sono a rischio ben due miliardi di euro in un mercato, quello americano, difficilmente sostituibile. L’allarme viene da Micaela Pallini, presidente di Federvini: “Serve una regia e una visione di ampio respiro perché i dazi del 20% sui vini italiani rischiano di estrometterci dagli scaffali americani a vantaggio di altri concorrenti. Difendere il vino oggi significa pertanto salvaguardare l’immagine dell’Italia nel mondo”.

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