Prendiamone atto: la copertura normativa esiste. L’articolo 10 della legge 195/1958 prevede espressamente un potere consultivo del CSM, da esplicarsi verso il Ministro di Giustizia e limitatamente ai disegni di legge concernenti l’ordinamento giudiziario, l’amministrazione della giustizia e ogni altro oggetto comunque attinente alle predette materie. Anche una matricola di giurisprudenza, tuttavia, capisce al volo quanto ampie siano le maglie del dettato normativo, maglie che negli anni il CSM ha avuto cura di allargare sempre di più, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “terza Camera”. Immeritato? No di certo. Il CSM è abituato a rendere pareri anche senza esserne richiesto dal Ministro, quando gli pare e come gli pare. La legge prevede che sia necessaria una previa richiesta del Ministro? No: e allora ecco il parere reso di iniziativa.

È forse contemplato che il parere sia reso prima che inizi l’iter parlamentare? Nossignori: ecco che il CSM – rivolgendosi non più al Ministro ma direttamente al Parlamento – sgancia la sua bomba mentre il ddl di turno è in piena fase di audizioni o di passaggio da una Camera all’altra. La legge vieta al CSM di dire la sua sulla conformità a Costituzione del contenuto del ddl? No, e arrivano puntuali le censure anche rispetto al dettato costituzionale (ci sarebbe la Corte Costituzionale, pazienza).

Ma è l’abilità del CSM nell’immischiarsi in qualunque materia che non può che suscitare ammirazione. Se è vero che l’art. 10 citato circoscrive il raggio d’azione del CSM all’ordinamento giudiziario e all’amministrazione della giustizia, è anche vero che si argomenta tutto e il contrario di tutto. Se ad esempio si vuole valutare un ddl che introduce una nuova fattispecie penale, è semplice stroncarlo adducendo i maggiori carichi di lavoro che essa comporterà per gli uffici giudiziari, perennemente carenti di organico, con indicibili conseguenze sugli obiettivi del PNRR. Naturalmente, se al contrario quella medesima fattispecie, per un qualsiasi motivo, incontra il favore del CSM, sarà un tripudio di applausi e poco importa se segnerà la bancarotta degli uffici giudiziari più scalcagnati.

Si comprenderà a questo punto come sia quasi conseguenziale il rischio che il CSM prenda posizione su un ddl non solo e non tanto a livello tecnico, come valutazione del suo impatto sul lavoro dei tribunali e delle corti d’appello, ma anche a livello politico, quale bocciatura o avallo dell’azione del governo di turno. Rischio concreto su cui il CSM scivola costantemente, forte del rango costituzionale e dei consueti baluardi dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura.
Emblematico il parere reso lo scorso 8 gennaio 2025 sul ddl in materia di separazione delle carriere: è arrivato mentre il ddl era già alla Camera (che l’avrebbe votato una settimana dopo) e si è ingegnato per cassare il ddl Nordio su tutta la linea, delineando scenari catastrofici in termini di impatto sulla magistratura tutta. Ma a leggerlo bene, quel parere non fa altro che recepire punto per punto le ragioni del “no” sbandierate da settimane dall’ANM, dalla famigerata cultura della giurisdizione (a costo di scomodare sfacciatamente l’art. 358 cpp, di rara applicazione nei corridoi delle Procure) alla già attuata separazione delle funzioni.

Una strana coincidenza? Come mai il CSM, organo amministrativo di rango costituzionale, riprende pari pari gli argomenti del sindacato delle toghe? Perché ANM e CSM sono notoriamente “colonia” delle correnti, sempre pronte a far valere il proprio peso politico in ogni decisione dell’una come dell’altro, anche a costo di interferire con altri poteri dello Stato. Finché lo fanno tramite un sindacato, nulla quaestio e ci mancherebbe; ma strumentalizzare un organo costituzionale e trasformarlo nel proprio megafono, francamente non è una prassi accettabile.

Laura Modena

Autore

Corresponsabile Osservatorio UCPI Ordinamento Giudiziario