L'intervista
Il DDL Valditara e gli echi delle riforme passate
Entro il 2027 l’Italia avrà bisogno di 500mila addetti specializzati in meccanica informatica ma il 48% di questi sarà di difficile reperimento. Ne parla la preside Rabaglia: “Il mio auspicio è che si smetta di ritenere a torto la professionalizzazione meno nobile rispetto ad altri percorsi formativi”
Il 18 settembre 2023, il Consiglio dei ministri ha approvato il DDL Valditara che ha tra i suoi obiettivi la riforma dell’istruzione tecnica e professionale. L’intervento del Governo si è reso necessario a fronte dei dati allarmanti rilasciati da Unioncamere Excelsior e da Confindustria, in base ai quali si stima che entro il 2027 l’Italia avrà bisogno di circa 508mila addetti specializzati in ambiti come la meccatronica e l’informatica ma il 48% di questi sarà di difficile reperimento. Abbiamo chiesto un commento alla professoressa Margherita Rabaglia, già dirigente scolastico e che da anni pone il tema della mancanza di professionalizzazione e della necessità di maggiore autonomia nel mondo della scuola.
Professoressa Rabaglia, ritiene che il DDL Valditara affronti il tema della distanza tra il mondo del lavoro e quello della scuola e del bisogno di autonomia delle istituzioni scolastiche in maniera efficace?
«Purtroppo, sembra che i problemi della scuola siano da anni sempre gli stessi e che la politica non riesca mai ad affrontare seriamente il problema, ma si limiti a fare proclami. Scorrendo la prima parte del DDL Valditara risuonano gli echi di proposte di legge che già hanno tentato di mettere mano al tema. Gli interventi normativi sono stati tanti: dalla legge n.59 del 1997 sull’autonomia scolastica, alla “Buona Scuola” del Governo Renzi che ha introdotto l’alternanza scuola-lavoro. Il DDL Valditara riprende molti dei temi delle passate riforme, come la valorizzazione della formazione tecnico-professionale e il collegamento tra scuola e lavoro ma senza un serio intervento strutturale e senza una reale assunzione di responsabilità da parte della politica».
Quali saranno gli effetti di queste mancanze da parte della politica sul mondo dell’impresa italiano?
«Si stima che il numero di laureati in alcune delle discipline più richieste dal sistema produttivo, ad esempio quelle STEM (science, technology, engineering and mathematics), non coprirà i fabbisogni del sistema produttivo da qui al 2027: mancheranno 6mila laureati STEM l’anno. Il sistema scolastico è sempre più afflitto da dispersione scolastica e skill mismatch, ovvero il disallineamento fra competenze richieste dal mondo del lavoro e quelle effettivamente acquisite durante gli anni della formazione. Gli appelli ad una riforma seria ed efficace dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e della professionalizzazione arrivano anche dal mondo dell’impresa, non soltanto da quello dell’istruzione. Pochi mesi fa, il presidente di Confindustria di Lecco e Sondrio denunciava la difficoltà di reperire tecnici e operai specializzati, sostenendo che “il centralismo, affossando la scuola, disperde le migliori energie dei giovani”».
Quali ritiene che siano i problemi del mondo scolastico più urgenti da affrontare?
«Guardiamo ai dati. La dispersione scolastica è al 16% (in media, con punte oltre il 20%). I NEET (giovani che non studiano e non lavorano) sono al 23%, un triste record europeo. Sono numeri spaventosi, che segnalano un grave problema presente nel nostro sistema educativo e formativo. Ma, paradossalmente, sono anche una chiara indicazione del dove cercare risposte. Penso di dire una cosa ormai risaputa se riferisco la posizione medio-bassa della scuola italiana nella classifica OCSE-PISA (Programma internazionale per la valutazione degli Studenti), negli ultimi posti fra le nazioni europee. Vorrei citare la ricerca della Fondazione Rocca che pone l’attenzione sul tema: “Questo stato di cose continua ad alimentare l’inerzia della più grande azienda del Paese, che sembra non riesca a cambiare direzione. Eppure, questi risultati non dipendono dal livello di investimenti fatti in questi anni: l’investimento per studente è nella media europea. (…) occorre individuare un elemento dinamico, in grado di contrastare l’inerzia del sistema e di avviare un profondo processo di innovazione. Questo fattore può essere l’autonomia scolastica”. L’autonomia scolastica non è certo una panacea, ma rappresenta uno strumento fondamentale per adattare la formazione degli studenti alle esigenze concrete del territorio e valorizzare le singole realtà».
In conclusione, quali interventi auspica da parte della politica?
«In Italia c’è un ritardo nel campo dell’istruzione tecnica e professionale rispetto ai sistemi europei più evoluti. L’Italia ha un grande tessuto produttivo manifatturiero, il nostro sistema agroalimentare è tra i più competitivi al mondo e siamo un grande hub turistico. Il mio auspicio è che si smetta di ritenere a torto la professionalizzazione meno nobile rispetto ad altri percorsi formativi e si apra una seria discussione su come tornare a valorizzare i profili e le competenze collegati ai mestieri del made in Italy, ridurre il crescente skill mismatch che penalizza studenti e imprese, e affrontare in modo strutturale la piaga della dispersione scolastica».
© Riproduzione riservata