De Gasperi, chi era costui? È assurdo dover parafrasare la celebre domanda di don Abbondio riferita al filosofo Carneade a proposito dell’uomo politico più importante della storia della Repubblica, presidente del Consiglio dalla fine del 1945 al 1953, otto anni in cui, letteralmente, si (ri)fece l’Italia. E allora perché questo strano oblio, quasi una rimozione, di Alcide De Gasperi? È una domanda che diventa più impellente dopo aver letto il bel libro di Antonio Polito, fine osservatore politico del Corriere della Sera e gran conoscitore della vicenda politica italiana, “Il costruttore” (Mondadori), nel quale l’autore ripercorre tutta la biografia politica dello statista trentino. Qui un lontanissimo ricordo personale. Nella libreria di mio padre erano ben allineati molti libri di politica. Fra questi ce n’era uno, scuro, che si intitolava “De Gasperi, uomo solo”, l’autrice era Maria Romana De Gasperi. Incuriosito, chiesi a mio padre chi fosse quel De Gasperi. “Era il capo del governo”. Ma come può essere una persona così importante “un uomo solo”? Eppure è veramente così.

Solo, umanamente. E politicamente. Forse darà dipeso anche dal suo modo di essere, schivo, riservato, l’esatto contrario dei politici di oggi (ma un po’ anche di ieri), una specie di “monaco” della politica: eppure era a capo di un grande Paese! Ecco, tornando alla domanda manzoniana, potremmo dire che Alcide De Gasperi è stato “solo” prima, durante e dopo la sua avventura politica, spesso percepito come certi parroci di campagna stimati ma scostanti, lontani. Non che gli mancasse la popolarità del suo elettorato cattolico e la stima degli avversari, forse anche una certa invidia perché in un modo o nell’altro le ha sempre vinte lui, non Parri, non Nenni, nemmeno Togliatti, che più di tutti ne intuì la forza. Un vincente con l’aspetto umile fino alla mestizia ma con innato vigore morale, come capirono i partecipanti alla Conferenza di pace di Parigi dell’agosto 1946 quando ascoltarono il memorabile discorso che Polito giustamente cita: «Prendendo la parola in questo consesso mondiale, sento che tutti, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me (…) Signori, è vero: ho il dovere innanzi alla coscienza del Paese, e per difendere la vitalità del mio popolo, di parlare come italiano: ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica».

Un discorso tra i più nobili che si ricordi. «Si sente l’avvocato difensore di quarantacinque milioni di italiani», notò un suo compagno di partito. Nulla a che vedere con gli “avvocati del popolo” di oggi, demagoghi più che democratici, cinici più che intelligenti. Leader naturale del partito dei cattolici dopo il naufragio dei popolari davanti al fascismo, De Gasperi volle riprendere la denominazione murriana di “Democrazia cristiana”: «In esso – osserva Polito – non c’era affatto una dimensione confessionale. Anzi. Paradossalmente la Democrazia cristiana almeno nelle sue origini è un partito più autonomo e indipendente dal Vaticano di quanto non lo siano stati i popolari prima del Ventennio». Che un uomo così profondamente intriso di valori cattolici abbia dato vita ad un partito politicamente laico è uno dei capolavori di De Gasperi a cui sono legate molte ragioni del lunghissimo consenso che ebbe quel partito.

L’altro grande capolavoro – Polito lo spiega mediante una precisa ricostruzione – fu la capacità di governare una difficile transizione riuscendo a produrre riforme in un Paese anchilosato da secoli di immobilismo: «Qualsiasi governo successivo di centrosinistra o riformista o anche tecnico pagherebbe per potersi vantare anche solo di una frazione di un tale programma di trasformazione e modernizzazione», nota l’autore. Dopodiché dello statista democristiano, errori a parte, si ricorda più la prudenza lenta, l’incedere accorto nel mondo nuovo, la pazienza che esasperava la sinistra, che non la relativa velocità con cui traghettò l’Italia ad un primo approdo alla modernità e al benessere. Forse bisognerebbe evidenziare di più la forza della “squadra”, nomi lontani che pochi ricordano, gente come Einaudi, Vanoni, Merzagora, Menichella, Mattei, Fanfani, Pella, Gronchi (e sì, pure il giovanissimo Andreotti): se pensiamo alla classe dirigente di oggi… Per otto anni, lo statista democristiano resse la barra in mezzo ad altri giganti della politica: e otto anni non sono molti. Ma ad Alcide De Gasperi, “uomo solo”, furono sufficienti per cambiare il volto dell’Italia.