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De Laurentiis gioca al risparmio, de Magistris è assente: così il Napoli e la città non possono crescere
Da anni il Napoli è stabilmente tra i primi club europei per fatturato. La Football Money League 2020 di Deloitte conferma il dato, piazzando la SSCN al 19esimo posto, sebbene con un fatturato in calo di circa 176 milioni di euro (-15%). Il grosso del calo è dovuto all’effetto Covid che ha determinato per i top club oltre 1,1 miliardi di minori ricavi rispetto al 2019. Un disastro destinato a peggiorare, se la “bolla calcio” dovesse definitivamente scoppiare a causa di scarsa liquidità, costi sballati e debiti eccessivi.
Il Napoli rappresenta un’anomalia rispetto a questo scenario: non ha debiti, ha un coefficiente di liquidità elevato e utili a riserva per oltre 120 milioni di euro. Il calo del fatturato è legato alla mancata qualificazione in Champions League. Quest’apparente solidità finanziaria, vanto di De Laurentiis da sempre, è in realtà uno scudo fragile. I costi operativi sono da anni nettamente superiori ai ricavi, pareggiati solo dal bonus Champions. I ricavi commerciali sono modesti e in calo, quelli dal match-day erano già marginali prima della chiusura degli stadi. Infine, le plusvalenze continuano a dipendere quasi esclusivamente dal player trading e non dal settore giovanile. La conclusione di Deloitte è spietata: per evitare il ridimensionamento, «il Napoli deve sperare in una grande stagione per assicurarsi il ritorno in Champions e l’aumento esponenziale dei ricavi».
Ma perché il futuro del Napoli è così in bilico? La risposta è nei mancati investimenti a lungo termine che avrebbero potuto consentire l’aumento strutturale del fatturato, indipendentemente dai risultati sportivi. De Laurentiis ha speso moltissimo solo nel player trading, ricavandone robuste plusvalenze che hanno garantito, con i diritti tv, la capacità di autofinanziamento del club e l’accumulazione di ingenti utili a riserva. Ma sulle infrastrutture, sugli asset fondamentali di un business particolare come il calcio, la regola è sempre stata quella di spendere il meno possibile.
Il Napoli non ha un centro sportivo di proprietà, è in fitto a Castelvolturno e non ha una sede di rappresentanza in città. De Laurentiis spende per il settore giovanile un decimo di Juve, Inter e Atalanta e ha firmato la convenzione decennale per lo stadio solo dopo un tira e molla indecoroso con l’amministrazione de Magistris nel quale non sono mancati decreti ingiuntivi, pignoramenti della Corte dei Conti e piazzate varie. In dieci anni di litigi e morosità, gli unici interventi di manutenzione sono stati finanziati dalla Regione per consentire lo svolgimento delle Universiadi, compresa la somma di 1,2 milioni approvata ieri dal Comune per completare i lavori di messa in sicurezza della copertura.
Questa mancanza di programmazione a lungo termine mette oggi il Napoli in bilico, ostaggio dei diritti TV e del bonus Champions, di fronte a un quadro già critico e aggravato dalla pandemia. Saramago diceva che «arriva sempre un momento in cui non c’è altro da fare che rischiare». Più modestamente, De Laurentiis dovrebbe ricordare che «lo sparagno non è mai guadagno».
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