Ho provato a schematizzare il fiume in piena della lettera aperta scritta nelle scorse ore al segretario del Partito democratico, Letta, da intellettuali ed esponenti del mondo della cultura campano (Sales, Musi, Spirito, Cantillo, Iannello, tra gli altri, ma figura ad esempio un nome di peso non campano di Giulio Sapelli). Una lettera passionale e indignata, ma grondante di fatti e argomenti che rappresentano un clamoroso “j’accuse” verso il sistema del Presidente della regione Vincenzo De Luca.

Vengono messe sul tavolo questioni di merito molto chiare: nepotismo, occupazione delle istituzioni con fedelissimi spesso sprovvisti adeguata professionalità, carenza di capacità di ascolto e sintesi, metodi politici brutali, gestione clientelare della sanità, occupazione e del partito regionale con una figura ectoplasmatica (pare si chiami Annunziata), azioni elettorali dirette ed indirette – anche esplicite – contro il proprio partito, danni di immagine per la Campania derivanti da atteggiamenti ed esternazioni, disinvoltura sul piano dell’etica pubblica. Su quest’ultimo piano basti pensare, tra le tante vicende, ad un capo della segreteria di De Luca condannato per attività di concussione evidentemente per conto altrui (ma come sappiamo la responsabilità penale è personale), e già rimesso in sella. C’è da chiedersi perchè a Roma qualcuno attenda ancora per sciogliere nel modo più netto possibile il nodo campano, partendo proprio dal livello regionale del partito, del tutto inattivo.

Ma la riflessione che vorrei porre in questa sede riguarda quella parte della lettera in cui, richiamando le riflessioni di Galli della Loggia e Aldo Schiavone, si tratteggia la “catastrofe nazionale del regionalismo meridionale”, aggiungendo: “di questo bilancio disastroso Vincenzo De Luca è la più macchiettistica espressione”. Questioni giuridiche e di etica pubblica a parte, quale è il più grande limite delle classi dirigenti meridionali, di cui De Luca è sicuramente la massima espressione? La loro natura estrattiva. Con questa espressione l’economista Acemoglu ha definito quelle istituzioni che drenano risorse anzichè operare per arricchire i territori. La chiave per comprendere molte cose dalle nostre parti sta proprio nella contrapposizione, tratteggiata dall’autore, tra istituzioni estrattive ed istituzioni inclusive e, conseguentemente, classi dirigenti estrattive o inclusive. Possono dirsi estrattive le classi dirigenti che utilizzano le risorse pubbliche come leva per il potere, deprimendo opportunità e merito, e inclusive quelle che favoriscono la partecipazione civile promuovendo i talenti.

Le prime distruggono ricchezza, le seconde la creano e fanno fiorire territori e società civile. Da questo punto di vista fanno da contrappunto nell’analisi degli estensori le “migliaia di giovani che vanno via ogni anno per cercare lavoro”, mentre qui avanzano gli eroi di questa Italia: gli Enzo Luciano (segretario di un partito, quello salernitano, dove da tempo non c’è più agibilità), i Piero De Luca (vicecapogruppo del Partito democratico alla Camera per illustri meriti), i Nello Mastursi e tutti gli altri uomini (quasi mai donne) del Presidente. Le istituzioni dovrebbero dispensare opportunità, favorire i talenti, premiare i meriti, essere in ogni caso inclusive, basate sul dialogo, sul rispetto, sul confronto. In Campania non va così tra sberleffi, diktat e dirette alla Fidel Castro. Prendiamo il caso emblematico delle regole del PD di Salerno, in salsa putiniana: lista unica provinciale per eleggere l’assemblea provinciale, collegata al candidato segretario (va da sè, unico). Da qui la conclusione sconsolate, nel passare il pallino a Enrico Letta: “come pensi di sostenere le ragioni del Sud e al tempo stesso di tollerare questa deriva regional-sovranista, clientelare, familistica, affaristica?