De Magistris scelga se stare con la giustizia o con i Pm

Luigi de Magistris ha annunciato la sua candidatura alla presidenza della Regione Calabria in un momento in cui nel mondo politico calabrese si muovono solo anime morte o ombre fioche di decollati caduti sotto i colpi di scimitarra dei pm. Presumo che il sindaco di Napoli avrà buon gioco nel mettere in difficoltà una Sinistra inesistente (a cui è mancato finanche il coraggio e la dignità di difendere i propri dirigenti che, da innocenti, sono stati stritolati dai procuratori di assalto) ed una Destra cialtrona che guarda a “Roma” così come l’incantato fissa la stella.

Ma prima ancora di pensare alle liste ed alle alleanze, de Magistris deve sciogliere un nodo (anzi il nodo) che, stringendosi al collo, soffoca la Calabria, una terra perennemente sconvolta da retate con un altissimo numero di innocenti e maxi inchieste che, dopo i fuochi di artificio, diventano cenere. Di una di queste, “Why not”, de Magistris è stato protagonista tanto come magistrato di Catanzaro che come ospite fisso della trasmissione “anno zero” di Michele Santoro che ha fatto da amplificatore alle pulsioni giustizialiste ben piantate nel ventre oscuro del Paese.
A dire il vero le grandi inchieste sono iniziate molto prima di Gratteri e de Magistris.

Per esempio, nel 1992 il procuratore di Palmi, dottor Agostino Cordova, ha avviato un’inchiesta sulla massoneria che si è andata sviluppando via via su tutto il territorio nazionale. Gli atti furono raccolti in 800 faldoni, migliaia di contenitori. Ad un certo punto tanto fu il materiale accumulato, che non si trovò posto nelle stanze del tribunale e fu necessario reperire sempre nuovi locali. Uno, due, dieci, non sappiamo quanti con certezza. Sappiamo invece che furono distaccati magistrati, poliziotti, carabinieri, finanzieri, tutti impegnati in questa inchiesta che veniva dipinta come la madre di tutte le inchieste. Oggi dorme sonni profondi, protetta dalle muffe e dalla polvere. I cittadini l’avranno dimenticata. In effetti, essa è svanita nel nulla. Parafrasando un passo della Bibbia: polvere era e polvere è ritornata. Forza della massoneria? Può darsi.

Tuttavia, in questo caso, dovremmo domandarci se le inchieste dei magistrati abbiano successo solo quando riguardano la “plebe”, fermandosi sulla soglia dei ceti tutelati. Sarebbe un certificato di assoluta inaffidabilità della magistratura e il timbro palese e definitivo che “la legge non è uguale per tutti”. Nel 2005 la Calabria occupa di nuovo le prime pagine dei giornali e nei titoli di testa delle televisivi nazionali. De Magistris, apre l’inchiesta “Why not”. Grande mobilitazione, decine di perquisizioni, centinaia di indagati, titoli a tutta pagina, costi immensi sul pubblico erario. Fascicoli con migliaia di pagine date alla stampa molto prima che agli interessati. Toccati dall’inchiesta anche l’allora primo ministro Romano Prodi e il ministro della giustizia Clemente Mastella. Poi? La magistratura (non la politica) archivia praticamente tutto.

Tanto rumore per nulla. Comunque un risultato è certo: la presenza della ndrangheta da un lato e le sistematiche e grandi (la grandezza sta solo nel numero) inchieste dall’altro, hanno avvolto la Calabria in una densa nuvola criminale in cui gli uomini di ‘ndrangheta ed i poteri deviati si muovono come pesci nell’acqua. Giunti a questo punto ci sembra giusto domandarci: poteri forti, anche nel caso “Why not” hanno bloccato l’inchiesta? Può darsi. Anzi alla luce del recente libro di Luca Palamara sembrerebbe proprio di sì. Ma in tal caso, e per l’ennesima volta, una parte non piccola della magistratura si rivela un potere permeabile e colluso con altri poteri deviati. Sul fronte opposto chi vuol far carriera lo utilizza alla grande servendosi anche della complicità di altri magistrati. È lo stesso de Magistris a mettere in serio dubbio l’imparzialità dei giudici che hanno assolto gli indagati di “Why not”: «[…] il lavoro è stato affidato a magistrati scelti con cura, non poteva andare diversamente».

Le cose che abbiamo detto sinora, se vere, -e tali sono – dimostrerebbero che la magistratura, in Calabria, più che altrove, è ammalata, non perché tutti i giudici siano corrotti o giustizieri, (tutt’altro) ma perché la catena di comando è deviata, permeabile, eversiva rispetto allo Stato democratico. Dopo quindici anni de Magistris, ritorna in Calabria e si candida a presidente della Regione. Il suo fiuto partenopeo gli ha capire che in Calabria c’è un popolo disperso che non è mafia e non si fida più di partiti scissi dalla realtà. E che però, per le ragioni che abbiamo scritto e per altre ancora, si fida ancor meno delle Procure che hanno la pretesa e l’arroganza di dettar legge e determinare la politica regionale. Con questa consapevolezza de Magistris parte da Riace, il paese di Mimmo Lucano, l’ex sindaco che è stato arrestato ed esiliato per circa un anno ed ora è sotto processo a Locri.

La presenza del sindaco di Napoli a Riace dice tanto ma non può bastare. Anzi non basta affatto. Perché non si può stare dalla parte della Giustizia e, contemporaneamente, (come de Magistris ha fatto) dalla parte di un’inchiesta come “Rinascita Scott” che è l’estremo azzardo di un giocatore costretto al continuo rilancio per non mostrare il bluff. Così come non si può ignorare il “caso Oliverio” e di tanti altri che, da innocenti, sono stati fatti fuori dalla giustizia sommaria. Soprattutto e innanzitutto non si può restare in silenzio dinanzi a migliaia di innocenti sacrificati sull’altare della propaganda giustizialista.

De Magistris deve chiarire se sente ancora il “richiamo della foresta” di “procuratori – sceriffi” e di studi televisivi, come quello di Giletti, in cui giornalisti nella parte di “giudici onorari” se ne fanno portavoce. Oppure se la sua stessa esperienza gli ha fatto maturare l’idea che i magistrati debbano rientrare nei loro uffici e, lontani dalla spasmodica ricerca di popolarità, fare il loro lavoro con “dignità ed onore”. E prendere atto che in Calabria non c’è solo Gratteri sebbene i media nazionali ne siano letteralmente incantati. Ci sono anche, e non sono pochi, coloro che si sono sempre collocati da una sola parte della barricata: quella della Costituzione. Vicini a chi si batte per attuarla. Lontani da quanti vogliono calpestarla.