Ci vorrebbe qualcosa che somigli a una clausola di salvaguardia. Ma non per aggiungere tasse, o ridurre le detrazioni fiscali al fine di pareggiare i conti dello Stato – in caso di mancata applicazione di norme essenziali di Bilancio – ma per recuperare risorse non spese. Partiamo dall’inizio: ci sono 6,6 miliardi da spendere (che diventano quasi 14 miliardi e mezzo entro il 2026) che non possono essere spesi perché mancano i decreti attuativi che ne consentono l’utilizzo.

Il problema è noto, ma il risvolto nel Bilancio dello Stato merita una nuova attenzione. La vecchia questione riguarda l’accumularsi di norme predisposte, approvate, ma sostanzialmente non assunte: i decreti attuativi, di cui sono gravide le leggi dello Stato, ma che per motivi diversi non vengono scritti nei tempi previsti. In una recente ricognizione del Sole-24 Ore mancherebbero all’appello 538 atti. Il pacchetto più cospicuo è quello che si è accumulato in questi ultimi due anni di governo Meloni: sono in attesa 385 provvedimenti attuativi da varare per rendere pienamente operative le leggi che hanno avuto il via libera dal 22 ottobre 2022, giorno dell’insediamento del governo in carica, a oggi. Ma anche gli esecutivi della precedente legislatura hanno lasciato la loro eredità non commendevole. Si tratta di 105 atti che fanno riferimento all’esecutivo guidato da Mario Draghi, e 48 che derivano dai due governi (di colore diverso) presieduti da Giuseppe Conte.

Insomma, nessuno può tirare pietre perché nessuno è senza peccato. Anzi, il peccato è da anni istituzionalizzato, al punto da non scandalizzare più nessuno. Uno scandalo in più riguarda il fatto che buona parte dei decreti attuativi mancanti dipendono da leggi che derivano da decreti legge, che secondo la Costituzione pretendono “necessità e urgenza”. Peccato che l’urgenza è del tutto smentita da questo interminabile limbo in cui cadono le disposizioni che il capo dello Stato ha sottoscritto e condiviso, appunto, per “necessità e urgenza”. L’arbitro dovrebbe fischiare il fuorigioco? Ormai nelle partite di calcio il “fuorigioco” è millimetricamente fotografato dall’occhio implacabile delle geometrie digitalizzate.

Ma anche nella vita parlamentare il “fuorigioco” non è difficile da definire: se un provvedimento è stato assunto per “necessità e urgenza” e dopo mesi (o anni) non è stato attuato, perché non sono stati predisposti i “decreti attuativi”, si dovrebbe poter (o dover?) pensare a una sorta di recupero delle risorse da destinare a nuove e rinnovate esigenze della collettività. Quello che era urgente due anni fa, probabilmente oggi non lo è più. Bisogna cercare il colpevole e immaginare una forma di sanzione per i danni arrecati? Forse. Ma si potrebbe anche immaginare una “clausola di salvaguardia” che possa rimettere a disposizione quanto non è stato speso (magari maggiorato da qualche “azione di responsabilità” contro chi – politico o burocrate – non ha saputo mantenere gli impegni temporali assunti dalla legge dello Stato).

La “clausola di salvaguardia” che fin qui abbiamo conosciuto ha avuto diverse varianti, ma è stata “condivisa”, anche in questo caso, da tutti i governi che si sono succeduti dopo l’ultimo esecutivo presieduto da Silvio Berlusconi (che la introdusse sotto la spinta della lettera Draghi-Delors); nessuno si è sottratto a quella “clausola”; quindi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, fino a Conte 1 e 2, per assicurare il recupero “automatico” (con pressione fiscale aggiuntiva, o con riduzione delle tax expenditures) degli eventuali sforamenti di Bilancio dello Stato. Qui invece ci chiediamo se non sia il caso di rimettere a disposizione della collettività le risorse impegnate, ma non spese, per inerzia o incapacità.

Il governo Meloni ha spiegato di recente che solo l’8,4% delle risorse previste dalle misure varate dallo stesso esecutivo sia legato all’adozione di provvedimenti attuativi, il resto fa riferimento a norme autoapplicative. Ma si tratta pur sempre di miliardi. Tanti. Bloccati, non spesi, sottratti ad altri possibili benefici per il paese. Ci vuole un fischio dell’arbitro? O un nuovo regolamento di gioco? In un caso come nell’altro ci vuole un supplemento di responsabilità da parte della classe politica e della burocrazia. Di più: un soprassalto di orgoglio e di dignità di tutte le istituzioni del paese.