Il Sì&No del giorno
Decreto Caivano, giusto il pugno duro sui minori? No, lo Stato deve pensare ad educare. Un bambino non ragiona come un adulto

Nel Sì&No del giorno, spazio al dibattito sul Decreto Caivano, recante misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile. Analizzando in rassegna le novità proposte, Luca Toccalini (deputato Lega) motiva la necessità dell’intervento. Di veduta opposta Massimiliano Marino (studente di Meritare l’Europa) che ricorda “La prevenzione non si ottiene innalzando la misura della pena”.
Di seguito il commento di Massimiliano Marino
Arresto dai 14 anni per reati quali spaccio di stupefacenti e violenza a pubblico ufficiale, daspo urbano per rissa, violenza e minacce e stop all’utilizzo di cellulari in caso di condanna – anche in via non definitiva – per delitti contro la persona, uso di armi o possesso di droga. I 14 articoli del Decreto Caivano presentati ieri sul tavolo del Consiglio dei Ministri fanno già discutere. Non potrebbe essere altrimenti se il pacchetto di misure urgenti varato per contrastare il disagio giovanile, la povertà educativa e la criminalità minorile sostituisce e introduce la pena di 30€ con due anni di carcere per i genitori i cui figli disertano la scuola dell’obbligo, cancellando tra l’altro l’ottenimento dell’assegno di inclusione.
Tanto si può dire e scrivere in merito alle misure contenute in questo testo, di cui ho anticipato solo una parte. Mi limito, per motivi anche di spazio, a due spunti di riflessione che mi rendono sostanzialmente contrario al Decreto appena varato. Punto uno: lo Stato non deve punire ma educare. Uno Stato che arriva a contemplare l’arresto dei genitori se i figli abbandonano la scuola o non vi si presentano significa che vuole focalizzarsi sul risultato e non considerare il processo o metodo che porta al risultato stesso. Che poi, quale sarebbe questo risultato? I genitori in carcere, colpevoli a priori a prescindere dalla situazione in cui versa il proprio nucleo familiare e il figlio – minorenne – abbandonato al proprio destino?
Secondo spunto di riflessione. È inammissibile pensare di trattare un ragazzo di 14 anni come fosse un adulto e applicargli le stesse pene previste per un maggiorenne. Si compara la gravità di un fatto, qualsiasi esso sia, compiuto da un ragazzo con uno stesso compiuto da un adulto. È incredibilmente superficiale considerare le conseguenze di certe azioni che, per quanto possano essere analoghe se commesse dall’uno o dall’altro, differiscono completamente nella consapevolezza e nella coscienza con le quali vengono fatte.
Non è e non vuole essere una giustificazione, solo la constatazione oggettiva che un bambino, un ragazzo, semplicemente, non può ragionare come un adulto. Per quanto lucido, sagace, intelligente possa sembrare o addirittura essere non ha vissuto la vita, non ha maturato nulla che possa portarlo a evitare di compiere determinate azioni o di compierle in una modalità diversa, come lo è scopo o la motivazione. Le punizioni puniscono e basta. Hanno molta poca valenza educativa e, ancora meno, valenza risolutiva. Indignarci per determinati episodi significa anche darli per assodati, significa – esagero – quasi essere rassegnati all’idea possano essere replicati. E così non può e deve essere se si instaura un metodo, un processo educativo finalizzato a evitarli, o comunque prevenirli.
Non può essere l’entità della pena il focus sul quale dirottare l’attenzione che invece andrebbe appunto rivolta altrove. Non è pura retorica ma è il compito della politica, della famiglia, della scuola e di tutti quanti vogliano, possano, sappiano impegnarsi a costruire un mondo migliore. E sì, qui lo Stato deve intervenire garantendo risorse al mondo delle insegnanti, degli educatori o del personale impegnato nel sociale e non solo.
La prevenzione sul territorio, l’educazione e il recupero restano temi necessari, fondamentali, imprescindibili. Il mondo della famiglia, il mondo scolastico e magari pure quello ecclesiastico devono essere il fulcro per l’accrescimento e la maturazione di valori quali la responsabilità, la diligenza, la consapevolezza. La stessa scuola non può rimanere ancorata ai soli programmi didattici, occorre un recupero del suo valore primordiale che non può e deve essere solo pensato per il mondo del lavoro. Non reprimere ma educare. Ragazzi che andrebbero aiutati condotti alla vita vengono invece condotti in prigione. La prevenzione non si ottiene attraverso la pena. Inasprirla non può e non deve essere la soluzione.
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