Ci deve essere stato un black out informativo tra Roma e Addis Abeba, tra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la premier Giorgia Meloni. Di sicuro ci sono parecchie difficoltà di comunicazione all’interno della maggioranza. Figurarsi con l’opposizione.

Risultato: la maggioranza è in tilt sul decreto Cutro che vorrebbe ridisegnare ancora una volta le regole del soccorso e dell’accoglienza di naufraghi e immigrati e che arriverà nelle prossime ore in aula al Senato senza il mandato al relatore. Cioè il testo base licenziato dal governo non essendo riuscita la maggioranza, in più di un mese, a decidere cosa fare dei circa 250 emendamenti presentati dalle stesse forze di maggioranza e nello specifico quella “maledetta” ventina a firma leghista.

Il colmo del paradosso – per cui si ipotizza un deficit di comunicazione tra Quirinale e palazzo Chigi e tra il Viminale e palazzo Chigi – è che mentre sabato Giorgia Meloni da Addis Abeba confermava senza incertezze la linea Salvini e quindi “l’abolizione della protezione speciale perché aiuta i raggiri e ce l’ha solo l’Italia”, la stessa maggioranza con un emendamento a prima firma Gasparri ha presentato un nuovo emendamento che prevede non l’abolizione della protezione speciale ma alcune fattispecie più ristrette per richiederla. Come spiega Gasparri “non basterà più indicare generici motivi di salute ma nello specifico la malattia che non può essere curata nel paese di origine”.

Mentre la premier parlava da Addis Abeba, dove è stata in missione due giorni, a Roma era in atto una triangolazione tra il sottosegretario Mantovano, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Ciriani (entrambi Fdi) e il Quirinale per arrivare a quella mediazione che potrebbe trovare un punto di caduta nel testo Gasparri. “Nessuno ha parlato di abolizione alla protezione speciale ma di stretta rispetto alle maglie allargate del passato” ha chiarito ieri mattina il capogruppo alla Camera Tommaso Foti.

A scanso di ulteriori equivoci, il Presidente Mattarella – che ha i radar puntati sulle modifiche presentate dal governo in tema di sicurezza e immigrazione per evitare strappi con la nostra Carta e i principi umanitari – ha ridefinito il perimetro all’interno del quale il governo può muoversi in tema di migranti e relativi diritti. “Deve essere affrontato come problema dell’Unione, nessuno stato da solo può affrontare un problema così epocale. Serve un’azione coordinata, ben organizzata che richiama una nuova politica di migrazione e di asilo dentro l’Unione superando vecchie regole che sono ormai della preistoria”.

Mattarella, in visita di Stato in Polonia, ha parlato anche di Africa, ha auspicato “un nuovo ed importante rapporto con il continente africano” dove in questi giorni è in corso l’azione “destabilizzante” dei mercenari russi della Wagner che stanno fomentando l’azione dei golpisti in Sudan. Tutto questo deve “allarmare” non solo la Ue, ma anche la Nato. Il Sudan è una bomba innescata. E, come già lo è stata la guerra civile in sud-Sudan, è uno di quei territori che possono creare ulteriore destabilizzazione in Europa usando l’arma della pressione migratoria. Le brigate Wagner sono l’indiretta emanazione del Cremlino.

In questo quadro molto delicato per cui sarebbe necessario avere una visione strategica, in Italia si sta giocando invece l’ennesima partita della propaganda elettorale. Matteo Salvini sta annusando l’odore della rivincita. I successi nelle regionali in Lombardia e Friuli; i sondaggi che piazzano sotto il 30% Fratelli d’Italia (ma il consenso della premier è ancora oltre il 50%): è come se l’ex Capitano pregustasse il possibile logoramento che, una volta al governo, inizia a consumare anche la leader di Fratelli d’Italia che ha goduto di dieci anni all’opposizione. Salvini insomma sta incardinando la campagna elettorale per le Europee del maggio 2024 usando l’arma più antica, persino scontata: l’immigrazione.

Un pressing rispetto al quale Meloni potrebbe oscillare divisa com’è tra i doveri istituzionali, le raccomandazioni del Quirinale e le pulsioni identitarie e nazionaliste della sua base elettorale. In questo contesto si inserisce il cortocircuito della maggioranza sul decreto Cutro. In un momento, tra l’altro, in cui gli sbarchi hanno superato quota trentamila (mai così tanti negli ultimi quattordici anni) e il governo, umiliato dallo strazio di quei 90 affogati a due passi dalla riva di Cutro, ha dato ordine a tutti i mezzi di intervenire per salvare: Guardia costiera, Guardia di finanza persino la Marina militare. Un’altra apparente “contraddizione” con la propaganda del governo. Per non parlare della proclamazione dello stato di emergenza: un’emergenza ideologica decretata dalla politica ma non dalla realtà.

Nell’imbarazzante stallo in commissione Affari costituzionali dove la maggioranza non riesce neppure a votare i suoi emendamenti, i due mattatori – Giorgis Pd e De Cristofaro (Av e Sinistra) – riescono a rallentare le votazioni. Il resto lo fanno i sindaci delle più grandi città (Roma,Firenze, Milano, Bologna, Torino, Napoli, Bari) e i governatori delle quattro regioni a guida centrosinistra (Toscana, Emilia Romagna, Puglia e Campania) che dicono no allo stato di emergenza, al commissario Valerio Valenti e alle proposte che stringono ulteriormente l’accoglienza.

“È tutto sbagliato – hanno scritto in una lettera inviata alla premier – diminuire ulteriormente l’accoglienza e i diritti vuol dire aumentare i clandestini”. I presidenti di regione non vogliono i Centri per il rimpatrio (Cpr) “se non esistono realmente nuovi accordi di rimpatrio” con i paesi di origine. Diversamente è tutto inutile. Peggio, dannoso perché si crea tensione sul territorio. E invece di ridurre/eliminare la protezione speciale e togliere diritti, andrebbe approvato lo ius scholae, andrebbero legalizzati i clandestini per bene già oggi in Italia e che potrebbero essere quella mano d’opera che industria, agricoltura e commercio cercano e non trovano. Ci sono almeno 300 mila posti di lavoro vacanti. Vorrebbe dire far emergere e legalizzare più della metà dei clandestini presenti in Italia.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.