Letture
Lo scaffale
Delitto al Pirellone, la solita Milano che sbatte il mostro in prima pagina. Il giallo che sarebbe piaciuto a Sciascia
Tiziana Maiolo ha costruito un giallo classico, giovandosi con stile della sua lunga esperienza di giornalista di cronaca giudiziaria e – ci permettiamo di notare – della sua personale acutezza nello scandaglio dell’animo umano. Scritto benissimo, questo “Delitto al Pirellone“ (Milieu edizioni) è una storia milanese che va allargandosi per così dire in cerchi concentrici nella concatenazione dei fatti: è un aprirsi continuo di nuove piste. Lo spunto è questo: la sfavillante, magnifica presidente della Regione Lombardia, Adelaide Floriani, viene trovata sgozzata nel suo ufficio (appunto al Pirellone) dopo che la sera precedente qualcuno era penetrato nella sua grande casa per trafugare un misterioso pugnale peruviano.
Floriani viene descritta subito – nelle primissime pagine – una radiosa figura in un palco della Scala, e muore immediatamente: solo dopo molte pagine si chiarirà meglio chi sia davvero, e forse nemmeno del tutto. Già, perché in questa storia nulla è come sembra. Non funziona niente. Troppa superficialità. Troppi errori. Troppa presunzione. C’è molto di sciasciano in questa centralità dell’errore, figlio della vanità umana degli inquirenti all’origine di tante tragedie della giustizia.
«Invece la Procura di Milano che cosa ha fatto? Ha acciuffato il primo che capitava, solo perché era sul luogo del fatto criminoso e in più era peruviano, l’ha sbattuto dentro e ha buttato la chiave. Poi si è messa a indagare sul narcoterrorismo. Invece di restare legati al fatto, i pubblici ministeri hanno preteso di inquadrarlo in qualcosa di più grande, di enorme. Ma la realtà è spesso più semplice. Solo che non vogliamo vederla. Perché noi magistrati abbiamo bisogno di grandiosità per sentirci utili. E soprattutto importanti». Questo è verso la fine, ma il garbuglio è tutto qui. Maiolo d’altronde ha dedicato la sua vita professionale come cronista, commentatrice, parlamentare, alla denuncia degli errori.
«La storia del mondo della giustizia è piena di errori giudiziari. Qualcuno voluto», scrive. Ecco perché si pensa a Sciascia, al quale questo “Delitto al Pirellone” sarebbe piaciuto. E così qui c’è subito il mostro sbattuto in prima pagina, ma la pm Rosella Traverso capisce – o meglio, “sente” – subito che il colpevole non è lui. Intuisce che tra il furto del pugnale e l’omicidio c’è un nesso che poi si rivelerà la chiave di volta. Ma non staremo qui a raccontare gli sviluppi delle indagini che si snodano nella Milano da bere (anzi, la Milano post-da bere, sembra di essere ai giorni nostri più che a quei tempi là), né tantomeno la conclusione del romanzo, inaspettata nella sua semplicità.
Come tutti i buoni romanzi, questo regala alcuni grandi personaggi, quasi tutti femminili. La pm Traverso, la giornalista Rosa Rossi del “Giorno” (belli i cenni sulla conflittualità tra colleghi di testate diverse), la giovane avvocata Cané, l’ex giudice Leonide Treves. E c’è molta altra roba: il Perù, i narcos, persino Alessandro Manzoni. E poi c’è lei, Milano. E quando Milano è il palcoscenico di un caso giudiziario è facile trovarsi davanti a una grande storia, perché Milano è perfetta per i gialli e le legal stories. Milano è il famoso Palazzo di giustizia, via Montenapoleone, i bar affollati del centro, la Statale, i giornalisti, un carosello che viene giù dal grande Giorgio Scerbanenco e che arriva sin qui – sempre un po’ in bianco e nero – tra aperitivi e cadaveri ed esistenze che fluttuano cercando di afferrare lo stato delle cose.
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