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Delitto di Cogne, dalla condanna di trent’anni ad Annamaria Franzoni al fine pena del 2018. Le tappe del processo
L’imputata: Annamaria Franzoni.
L’accusa: omicidio aggravato nei confronti del figlio di tre anni, Samuele.
Le date:
2002, gennaio – subito dopo l’omicidio, avvenuto il 30 gennaio, iniziano le indagini.
2002, marzo – il 13 si procede all’arresto della Franzoni per effetto dell’ordinanza del GIP di Aosta che verrà scarcerata dopo 17 giorni a seguito di annullamento deciso dal Tribunale del Riesame.
2002, marzo – il GIP conferisce incarico peritale collegiale ai Dott.ri Barale, Luzzago e De Fazio, che accertano la piena capacità di stare in giudizio e la piena capacità di intendere e di volere di Annamaria Franzoni: “le presenti indagini hanno permesso di escludere una patologia psichiatrica importante”; “tutta la tessitura dei ricordi, la loro organizzazione, le modalità con cui sono esposti non contengono alcun elemento che faccia clinicamente pensare ad una lacuna mnestica reale successivamente rielaborata, riferibile ad un qualche disturbo amnestico transitorio o ad un disturbo dissociativo”; e ancora: “nel caso in esame l’uccisione del piccolo Samuele è senz’altro un fatto accertato, ma certamente la Franzoni non se ne assume la responsabilità, e non sussistono, allo stato, evidenze di rilevanza probatoria tali da sostenere in capo alla stessa una concreta attribuzione di colpevolezza”.
2003 – una seconda perizia psichiatrica interviene sulle sole esigenze cautelari: viene escluso il pericolo di reiterazione del reato, ciò che le garantisce la libertà fino a maggio 2008.
2004 – a seguito di giudizio abbreviato il Giudice dell’Udienza Preliminare di Aosta condanna la donna a 30 anni di reclusione.
2004 – subito dopo la condanna la Franzoni sporge una denuncia in cui viene fatto il nome di quello che sarebbe il vero assassino, Ulisse Guichardaz; nasce così il procedimento Cogne bis.
2005 – inizia il processo di appello; viene accolta la richiesta del Procuratore Generale di disporre nuova perizia psichiatrica tesa a verificare la capacità di intendere e volere dell’imputata al momento dell’omicidio; la stessa rifiuta il nuovo accertamento affermando: “non è nella mia mente che troverete il colpevole. Non potrò mai confessare una cosa che non ho fatto”; quindi esce dall’aula per non farvi più rientro; i periti, che lavorano dunque solo sulle carte, sulle intercettazioni e sulle registrazioni di alcune trasmissioni televisive, concludono per un vizio parziale di mente e parlano di “stato crepuscolare orientato della coscienza”; la diagnosi è quella di un “disturbo ansioso su base isterica” al momento del fatto e ritengono verosimile che, a fronte di un iniziale ricordo di quanto accaduto, comprovato da alcun gesti “finalizzati” alla propria difesa, sia intervenuto poi nell’imputata un meccanismo psichico a tutela del “sé” di rimozione-scissione. Giungono a dette conclusioni rispondendo al quesito loro posto nei seguenti termini: “Accertino i periti …se l’imputata versasse o meno, in riferimento al reato per cui si procede, e al momento in cui le viene addebitato di averlo commesso, in stato d’infermità di mente tale da escludere o scemare grandemente la sua capacità di intendere o di volere; tenuto conto che anche ai disturbi della personalità – che siano di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sull’ imputabilità – può essere attribuita un’attitudine proporsi come causa idonea ad escludere o a grandemente scemare, in via autonoma e specifica, la capacità di intendere e di volere del soggetto agente; quali sono le attuali condizioni di mente di Annamaria Franzoni e se sia in grado di partecipare consapevolmente al processo ..; ricostruiscano criminogenesi e criminodinamica del reato addebitato all’imputata ed esaminino il suo funzionamento mentale, in riferimento sia al contesto in cui il reato è avvenuto, sia alla possibilità o meno di comprendere il significato dell’atto commesso e di agire in conformità a tale valutazione, avendo particolare riguardo al profilo del nesso eziologico tra l’eventuale infermità e il reato stesso”.
2007 – la Corte d’Assise d’Appello di Torino conferma la colpevolezza dell’imputata, non riconosce la semi infermità, ma la pena viene ridotta a 16 anni, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti: “la Corte non può non tenere conto del fatto che Anna Maria Franzoni ha sofferto di un reale disturbo, che rientra nel novero delle patologie clinicamente riconosciute (degne anche di trattamento terapeutico), ma che nel sistema giuridico-penale vigente non costituisce di per se stesso infermità che causa vizio di mente”.
2008 – la prima sezione penale della Corte Suprema di Cassazione conferma la sentenza di appello.
2009 – la Procura di Torino, nell’ambito del procedimento cd. Cogne bis, chiede il rinvio a giudizio per la Franzoni per il reato di calunnia contro Ulisse Guichardaz e per frode processuale.
2011 – Annamaria Franzoni viene condannata a un anno e quattro mesi nell’ambito del procedimento cd. Cogne bis; successivamente quel reato verrà dichiarato prescritto dalla Corte di Appello di Torino.
2013 – viene disposta perizia criminologico-psichiatrica per valutare la pericolosità sociale in vista della concessione della detenzione domiciliare, con la quale il perito stabilisce che non ci sono rischi di reiterazione del reato.
2014 – Il Tribunale di Sorveglianza concede la detenzione domiciliare.
Com’è finita:
Nel 2018 Annamaria Franzoni ha finito di scontare la sua pena.
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