Di nuovo in agitazione ieri il carcere minorile milanese Beccaria, con agenti finiti all’ospedale. E a poco valgono le parole dello storico cappellano, oggi 84enne, Gino Rigoldi, che si sgola a spiegare come per rieducazione non si può intendere l’imbottire i ragazzi di psicofarmaci, che inducono assuefazione e poi crisi di astinenza e comportamenti violenti. Spiega quel che è inevitabile, da riformatore. Uno più vicino al “codice Gozzini” e alle riforme degli anni ‘70 e ‘80 del Novecento che al codice Rocco del Ventennio fascista. Sorvegliare e punire – come dissero Montesquieu e poi Foucault – e quindi dare, a ogni azione illecita, una risposta violenta irrazionale e disumana come il carcere, oppure ricucire lo strappo con la società operato dal comportamento illegale attraverso il trattamento che riporti alla ricostruzione della persona? Persino attraverso la detenzione in cattività? Sono due visioni opposte, e le risposte non coincidono necessariamente – in politica – con destra e sinistra.
Non occorre scandalizzarsi se il sottosegretario di un governo di centrodestra come Andrea Delmastro ritiene – e a questo scopo si impegna, e lo scrive con orgoglio su La Verità – che tutti i problemi del carcere, a partire dai 61 suicidi, e poi il perenne sovraffollamento e l’inciviltà delle condizioni di alcuni istituti, si risolveranno costruendo nuove prigioni. Non è scandaloso neppure per chi nel carcere come soluzione per i comportamenti illeciti non crede proprio. Perché l’edilizia penitenziaria, se trattata con una visione riformatrice (per esempio sull’orma dell’istituto di Bollate e di quei direttori visionari come Luigi Pagano, che quell’istituto volle e realizzò), può comunque risolvere alcuni problemi. Certo non subito, e questo è il limite, e non è poco. Tuttavia – lo dico al sottosegretario ma anche al direttore Maurizio Belpietro e ai tanti che sono sinceramente convinti del fatto che la certezza del diritto debba coincidere con la certezza della pena e questa con la certezza del carcere – se la casa brucia si chiamano i pompieri.
Per esempio la proposta del deputato Enrico Costa (che ci importa se è di destra o di sinistra?) di aumentare il numero di giorni di sconto per la liberazione anticipata a me sembra ragionevole per cominciare a spegnere il fuoco dell’estate 2024. Ma poi occorre anche vedere quale carcere si vuole costruire. Siamo d’accordo per esempio sul fatto che la cella debba essere solo il luogo in cui si va a dormire? Poi occorre tutto il resto, naturalmente: lo studio, la formazione professionale, il lavoro. Cioè il minimo sindacale perché la privazione della libertà non porti con sé quella monumentale pena accessoria che è l’annientamento della persona. Quel che non fanno più la pena di morte o la tortura, insomma, lo produce la mortificazione del corpo. Quella che ti priva dell’ossigeno e ti toglie la coscienza del tempo e dello spazio.
L’intervento del sottosegretario Delmastro è stato suscitato da un dibattito tra il direttore de La Verità, Maurizio Belpietro, e un detenuto – oggi ai servizi sociali – che è l’esempio vivente di un uso utile del carcere, visto che a Rebibbia si è anche laureato, Salvatore Buzzi, uno dei protagonisti del processo “Mafia capitale”, la bufala messa in piedi dall’ex procuratore Giuseppe Pignatone, e che mafia non era, ma solo malaffare in gran parte della sinistra romana. “Svuotare le carceri? No, costruiamole”, aveva scritto, rivolto al ministro Carlo Nordio, La Verità del 19 agosto. Belpietro, con un buffetto neanche tanto soffice, aveva ricordato al Guardasigilli che “da Giorgia Meloni e dalla sua squadra” gli elettori “si aspettano legge e ordine, ovvero si attendono che i delinquenti siano assicurati alla giustizia, cioè condannati e rinchiusi”.
Buttare la chiave, insomma. E invitare esplicitamente Nordio a decidere “da che parte stare”: la “maggioranza silenziosa che l’ha votata” o quella rumorosa che protesta per il sovraffollamento. Prima di dare la parola a Buzzi, che ha spiegato in nove punti a Belpietro che non lo sa, che cosa è il carcere, mi permetto di suggerire una domanda: siamo così sicuri che il disastro carcerario che produce follia, malattia e morte fino ai suicidi, non sia la conseguenza diretta di una pessima amministrazione della giustizia? E anche una constatazione: sono tanti i cittadini che hanno votato il centrodestra perché c’erano anche persone come Carlo Nordio (per non parlare del ricordo di Berlusconi), e sulla giustizia giusta e il superamento del carcere come principale sanzione hanno preso la parola, in Parlamento e fuori. Non c’è solo la maggioranza silenziosa che piace a Belpietro e Delmastro, nel centrodestra. Salvatore Buzzi ha spiegato che, se la sinistra si è sempre applicata nell’aumento delle pene, questo centrodestra si sta esercitando nell’aumento del numero dei reati. È così. Siamo sicuri che dopo il fallimento dell’omicidio stradale, che non ha per niente diminuito i reati, fosse necessario anche l’omicidio nautico?
Certo, ci rassicura il sottosegretario Delmastro: il governo ha varato un piano di investimento di 250 milioni di euro per la costruzione di nuove carceri. Ottimo, se ne riparlerà tra vent’anni. Ma nel frattempo potremmo discutere in linea generale su quale è il confine tra il lecito e l’illecito e anche sull’origine della norma penale e il carcere come conseguenza di un processo che spesso è ingiusto. Se per esempio in un furore talebano qualche governo decidesse che non solo l’assunzione di sostanze psicotrope ma anche di nicotina fosse reato, lei – che è fumatore – accetterebbe stoicamente la detenzione nell’attesa che qualcuno butti la chiave?