La sentenza di primo grado 35 anni dopo: non fu suicidio
Denis Bergamini, fu omicidio: condannata a 16 anni l’ex fidanzata Isabella Internò, “delitto passionale”
Isabella Internò, l’ex fidanzata di Donato Denis Bergamini, è stata condannata a 16 anni di reclusione perché accusata di omicidio in concorso con ignoti per la morte dell’ex calciatore del Cosenza avvenuta quasi 35 anni fa, il 18 novembre del 1989 a Roseto Capo Spulico sulla statale Jonica. La condanna, in primo grado, è stata inflitta dai giudici della Corte d’assise di Cosenza dopo circa 8 ore di camera di consiglio.
Omicidio Bergamini, condannata l’ex: “delitto passionale”
Nel corso della requisitoria, la procura chiedeva 23 anni di reclusione per la donna che oggi ha 55 anni. I giudici hanno invece riconosciuti le attenuati della crudeltà e dell’uso di sostanze venifiche. Nel corso del processo è emerso che Bergamini è morto per soffocamento forse con una sciarpa prima di essere disteso sull’asfalto dove è stato poi ritrovato. Secondo la procura si trattò di un delitto passionale con l’ex fidanzata, all’epoca 19enne, che avrebbe voluto punire l’ex fidanzato per averla lasciata.
Una sentenza che arriva tre anni dopo il rinvio a giudizio di Isabella Internò con l’accusa di concorso in omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi. Il caso era stato riaperto nel 2017 con la riesumazione del corpo dell’ex calciatore. Un caso irrisolto e deviato da bugie, depistaggi, sparizioni di reperti. Poi una superperizia stabilì che il calciatore morì per soffocamento e non si trattò di suicidio.
Il ritrovamento del cadavere di Bergamini
Era il 18 novembre 1989. Il corpo di Bergamini veniva ritrovato sulla Statale Jonica davanti alle ruote di un camion. La versione accreditata da testimoni e carabinieri era quella del suicidio: il calciatore si era lanciato sotto le ruote del mezzo ed era stato trascinato per 59 metri. I segni sul corpo della vittima però erano incompatibili con quella versione: i vestiti erano intatti, l’orologio da polso integro, le scarpe senza graffi e i calzini ben tirati sui polpacci. Niente ferite neanche sul volto dell’atleta. Nessun segno neanche sul camion. Che la dinamica non tornasse era evidente già dalla prima autopsia.
La ricostruzione di Internò ha destato perplessità dall’inizio. Era evidente più che altro uno “schiacciamento da sormontamento” su un fianco. Sparirono poi nel nulla una nota di servizio dei carabinieri sulle auto fermate quel 19 novembre sulla strada della tragedia e la scatola con i vestiti indossati da Bergamini. Mesi dopo la morte vennero recapitate al padre del calciatore le scarpe del figlio. Gliele consegnò il direttore sportivo del Cosenza, Roberto Ranzani, che le aveva ricevute da uno dei factotum della squadra con il messaggio che a fine campionato quel factotum gli avrebbe raccontato quello che sapeva sulla morte del figlio. Proprio dopo l’ultima gara di quella stagione i due factotum del Cosenza morirono in un incidente stradale sulla Statale Jonica, a pochi chilometri da dov’era stato trovato il corpo di Bergamini.
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