Denis Verdini, ex senatore di Forza Italia condannato in via definita a 6 anni e mezzo di reclusione nell’ambito del processo sul crac del Credito cooperativo fiorentino, va ai domiciliari. Lo ha deciso il Tribunale di Sorveglianza di Roma.

Verdini, 69 anni, lascia il carcere romano di Rebibbia dove era detenuto dallo scorso 4 novembre per trascorrere i domiciliari nella propria abitazione di Firenze. Tra le motivazioni presenti nell’ordinanza ci sono lo stato di salute di Verdini e l’emergenza Covid-19 nelle carceri.

Secondo quanto si apprende dall’Ansa, per Verdini si tratterà di una detenzione domiciliare provvisoria in quanto il regime carcerario con l’emergenza Covid non è compatibile con le condizioni di salute dell’ex senatore.

Nel documento che ha permesso all’ex senatore di tornare nella sua abitazione di Firenze per scontare la pena, si legge che “la direzione sanitaria del carcere evidenzia allo stato l’incompatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario, in quanto queste sono suscettibili di peggioramento improvviso ed imprevedibile per le pluripatologie evidenziate, pertanto poiché vi sono focolai di infezione Sars-Cov-2 vi è un elevato rischio di contagio e in caso di infezione da Covid, il paziente potrebbe essere ricoverato in reparto di terapia intensiva con prognosi quoad vitam”, riporta l’AdnKronos .

Nel provvedimento preso dal magistrato di sorveglianza si fa presente inoltre che “in considerazione dei gravi reati in espiazione e del lontano fine pena, appare opportuno disporre la detenzione domiciliare, misura questa che consentirà all’interessato di espiare la pena e nel contempo assicurare le necessarie cure e trattamenti per le patologie da cui è affetto, cosi contemperando esigenze di prevenzione sociale e tutela del suo diritto alla salute sino alla decisione del tribunale di sorveglianza”.

A luglio del 2018 la Corte d’Appello di Firenze aveva ridotto a 6 anni e 10 mesi la pena inflitta l’anno prima dal Tribunale a nove anni. Secondo i giudici, Verdini, dal 1990 al 2010 numero uno del Credito cooperativo fiorentino, una piccola banca con sede a Campi Bisenzio (FI) e sette filiali tutte concentrate nei comuni dell’hinterland del capoluogo toscano, avrebbe favorito diverse operazioni “anomale”, realizzate con una gestione “ambiziosa quanto imprudente” e in particolare con innumerevoli finanziamenti (oltre il 52% del credito) soprattutto nei confronti del gruppo Btp degli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei (anche loro condannati), operante nel settore delle costruzioni. Questi finanziamenti avevano causato il dissesto dell’istituto di credito come accertarono poi i commissari nominati da Bankitalia.

Redazione

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