Sul “Foglio” del 29 luglio, Michele Salvati sostiene che “il contrasto tra coloro che stanno dalla parte dell’espansione del capitalismo nelle sue incessanti trasformazioni e coloro che cercano di proteggere chi ne paga le conseguenze è ancora il principale motore del Moderno, della lunga fase storica nella quale siamo immersi”. È vero, la dicotomia esiste ancora. Ma come bias cognitivo, euristica. Esiste in un bipolarismo identitario, che guarda alle antiche certezze e sicurezze, alla storia di due distinte comunità sentimentali. I partiti che mettono al centro della politica l’identità e la sicurezza possono vincere le elezioni. Ma poi, alla prova del governo, mostrano di non avere né idee né proposte per affrontare i problemi. E questo avviene perché tra l’autopercezione della realtà lungo l’asse destra/sinistra e le condizioni reali del contesto in cui viviamo non c’è più corrispondenza.

L’irrompere dell’ultima rivoluzione tecnologica ha mutato la forma capitalistica in tutto il pianeta. Il crollo dell’Unione sovietica ha segnato la fine del comunismo. Con la scomparsa del lavoro tradizionale e l’emergere di nuovi lavori che non potranno mai assolvere la funzione conflittuale esercitata dal primo, è caduto il nesso tra eguaglianza, lavoro e socialismo che caratterizzava la sinistra. E, di conseguenza, anche la destra ha perduto i riferimenti su cui aveva costruito il suo pensiero e la sua azione. È il crollo del vecchio mondo, il lutto non elaborato di quella perdita che oggi spinge pezzi di società a polarizzarsi in una lotta sorda fino ad annientarsi. Una porzione di società chiede identità e sicurezza. Reclama ciò che aveva e ora non ha più. Di quel vecchio mondo rivendica anche simboli e certezze. E pretende che il discorso pubblico ne rilegittimi princìpi, giudizi e riferimenti culturali.

Ma c’è un’altra porzione di società, leggermente più ricca e istruita della prima, che chiede, invece, di liberarsi definitivamente dai ruoli assegnati dal vecchio mondo. E chiede che lo stato autorizzi a vivere in base alle preferenze individuali senza tener conto delle esigenze collettive. Poi ci sono le élites, molto più ristrette, che si sentono al sicuro e guardano con distacco il doppio sommovimento. I partiti rispondono con discorsi retorici una volta ad un gruppo e una volta all’altro. Ma sono incapaci di affrontare i problemi. Il bipolarismo a cui danno vita non è quello dell’alternanza liberaldemocratica e della governabilità, ma è quello dell’alternativa di sistema, oltre i confini della democrazia liberale. Come scrive Luca Diotallevi sul “Messaggero” del 12 luglio, “le due rabbie sghembe stanno distruggendo il centro della società”.

Ma un centro si alimenta con un pensiero, una visione, programmi che producono classi dirigenti. Ci vogliono agenzie di pensiero che ormai sono spente: basti guardare a cosa si sono ridotte le chiese cristiane. E ci vogliono partiti fondati su statuti democratici come previsti dall’art. 49 Cost. e non partiti oligarchici o personali come quelli esistenti. Nel nuovo mondo, la democrazia degli stati nazionali, da sola non è più in grado di esercitare la sua funzione regolatrice. Pertanto, le nuove disparità e ingiustizie e le nuove migrazioni non si possono affrontare. Serve dare forza a processi di estensione dei diritti di partecipazione politica oltre la funzione propria degli stati. Tali diritti fondano, infatti, la cittadinanza politica attiva, ossia l’esercizio pubblico dell’autonomia. E solo ordinamenti democratici sovranazionali possono garantirli.

Insomma, i cittadini potranno esercitare la propria sovranità se la cittadinanza politica attiva sarà in grado di esprimersi anche in una democrazia oltre lo stato. L’Ue ha costruito una parziale dimensione sovranazionale mediante un processo ancora incompleto di integrazione. Il suo completamento dipende dalla costruzione di una reale democrazia sovranazionale che non potrà mai essere quella di uno stato federale o confederale. Ci vuole un nuovo pensiero che affronti il tema della democrazia oltre lo stato. Come si è visto, le autocrazie orientali non interferiscono nelle mitizzazioni delle vecchie dicotomie lungo l’asse destra/sinistra. A loro interessa bloccare l’Ue e le organizzazioni internazionali. Per rispondere a questo attacco, forse può aiutare una metafora topografica che non si richiami più alla diversa collocazione, a destra o a sinistra rispetto alla presidenza, dei rappresentanti nell’Assemblea degli Stati generali nel 1789. Una metafora che indichi, invece, la diversa collocazione tra chi non vuole superare la soglia statale e nazionale entro cui sono confinate le democrazie liberali e chi quella soglia vuole abbandonare, andando avanti e guardando al futuro.

Alfonso Pascale

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