“Non esiste nella storia della destra al Parlamento Europeo – sia quando il Msi era nell’irrilevante gruppo dei Non iscritti, privi di qualsiasi forma di agibilità politica nel contesto europeo, sia quando An fondò l’Unione per l’Europa delle Nazioni, o quando confluì nel Partito Popolare Europeo, in seguito alla confluenza del Pdl – un solo intervento dal quale è possibile dedurre posizioni antieuropeiste”. È quel che scrive Fabrizio Tatarella nella premessa al suo libro “La destra italiana in Europa” edito da Historica Edizioni. Che è un excursus storico (il volume parte dal programma del 1946 del Msi e dell’astensione nel marzo del 1949 sul Patto Atlantico), non solo un modo per respingere le insinuazioni di euroscetticismo.

Ricorda che “il tema dell’Europa Nazione per il Msi rappresentava, inizialmente, una sorta di “terza via” geopolitica fra Usa e Urss, tra capitalismo e comunismo, ma tale concetto, negli anni Cinquanta, fu superato per approdare a un filo-atlantismo che vedeva nell’Europa Nazione un baluardo più sicuro contro il comunismo dell’Est, linea che caratterizzò il Msi per tutta la sua storia politica”. È un saggio in cui il nipote di Pinuccio Tatarella – venendo alla storia più recente – non può non ricordare quella che lui stesso definisce la grave umiliazione subita in Europa da suo zio nel 1994.

“Nel 2024, per uno strano gioco del destino, sono trascorsi esattamente trent’anni da quando Pinuccio Tatarella, nonostante la vittoria democratica alle politiche del centrodestra del 1994, fu costretto a subire, proprio in Europa, una grave umiliazione. Il ministro belga Elio Di Rupo, infatti, in occasione di un vertice europeo, si rifiutò platealmente di stringere la mano al vicepresidente del Consiglio italiano, perché fascista, negando agibilità politica alla destra italiana in Europa e chiedendo la sottoscrizione di un elenco di valori di libertà: Tatarella non solo li sottoscrisse, ma ne aggiunse altri, dimostrando la sua capacità di vedere lontano”.

Il ruolo di Alleanza Nazionale è ribadito in un passaggio in cui Fabrizio Tatarella riporta quel che scrisse lo storico Andrea Ungari, nel saggio “Da Fini a Fini. La Trasformazione del Movimento sociale in Alleanza nazionale 1987-1995”: “Va riconosciuto che, assecondando l’idea di An, Fini ha risolto l’equivoco di fondo del rapporto tra destra e fascismo, facendo sì che la destra italiana superasse l’identificazione con il fascismo, recuperando a quest’area, grazie allo scompaginamento politico del 1992, una serie di culture e filoni politici che non si erano fino a quel momento identificati con la destra vuoi per la presenza della Dc, vuoi per una certa ‘impresentabilità’ degli eredi della Repubblica Sociale. Questi aspetti, a parere di chi scrive, rappresentano senz’altro un indubbio successo di Fini e, in generale, per la destra italiana che, senza questa necessaria trasformazione, mai avrebbe pensato di avere una dimensione pari a quella delle destre europee, arrivando a sedere tra i banchi del Ppe”.

Il volume sottolinea che “senza Alleanza Nazionale non solo non ci sarebbe stata una moderna forza di destra europea e democratica, ma senza la nascita di un forte partito di destra il nostro Paese sarebbe rimasto con quel bipolarismo zoppo imperniato su un confronto tra sinistra e centro, “un falso bipolarismo” come lo chiamava Pinuccio Tatarella, che aveva il solo fine di emarginare la destra in Italia”.
Lunghi passaggi sono dedicati al modello Aznar. È citato il numero di luglio 1998 di «Charta Minuta», mensile di confronto politico e di proposta diretto da Adolfo Urso, interamente dedicato al leader spagnolo con un’ampia intervista a Gianfranco Fini che ancora una volta fu lapidario sul taglio dei ponti con le destre xenofobe ed estremiste: «Il taglio è avvenuto in tempi non sospetti – disse -. (…) I contatti e i rapporti con il Fronte Nazionale si sono interrotti nel 1989, molto tempo prima che nascesse An».

Viene ricordato il flop dell’esperienza del 1999 con Mario Segni. La scomparsa di Pinuccio Tatarella. La rottura tra Fini e Berlusconi. Fino a i giorni nostri, con l’ascesa di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia. Di cui scrive: “La scelta europeista e filoatlantica del governo Meloni e della destra di Fratelli d’Italia è in perfetta continuità storica con la parte moderata della destra italiana da quando, nel novembre del 1951, il segretario del Msi Augusto De Marsanich annunciò il sostegno del Msi all’adesione italiana al Patto atlantico, una scelta chiaramente dettata in chiave anticomunista e parte integrante di una più vasta strategia di «inserimento nel sistema”.