Il giallo dei lividi riscontrati sul corpo nel corso dell’autopsia e la presenza di un testimone che potrebbe aver visto ciò che accadeva nella cella. Comincia da qui l’indagine sulla morte di Vittorio, il detenuto trentaseienne deceduto la settimana scorsa dopo una colluttazione con due agenti della polizia penitenziaria del carcere di Fuorni. Comincia da questi due dettagli tutt’altro che marginali. Comincia da quello che racconta il cadavere del povero detenuto. Ogni corpo parla. Quello di Vittorio presenta segni compatibili con segni di percosse.

C’è il sospetto che avessero un tempo differente, come a far ipotizzare che quei segni non fossero sorti tutti insieme ma a distanza di qualche giorno uno dall’altro. Come se ci fossero stati più episodi a distanza di uno o più giorni. Il primo esame sul corpo del detenuto apre a scenari allarmanti. Vittorio, originario di Aversa, 36 anni e un fine pena che sarebbe arrivato ad ottobre prossimo, è morto il 10 maggio scorso all’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona dove era stato portato come tentativo estremo, dopo che le manovre di soccorso in carcere non avevano dato grandi risultati. «È stato colto da un arresto cardiaco» era stata la conclusione trapelata sulle prime, assieme alla notizia dell’ennesimo dramma dietro le sbarre. Poi, con il passare delle ore, i dubbi. La Procura di Salerno decide di aprire un fascicolo: c’è l’inchiesta penale. I due agenti della polizia penitenziaria che per ultimi avevano avuto contatti con Vittorio prima del malore fatale vengono iscritti nel registro degli indagati. Si parte dall’ipotesi di reato di omicidio preterintenzionale. I due agenti si difendono, dicono di aver reagito a un’aggressione, lasciano intendere che Vittorio avesse problemi di salute mentale e che aveva provato a colpire uno die due poliziotti con un’arma rudimentale. Si fanno anche medicare in ospedale, i due agenti. I sindacati di polizia penitenziaria sostengono questa versione, grifando all’ennesimo attacco subito da chi lavora in carcere.

Che poi è pure vero che lavorare in carcere può essere un inferno quasi come viverci da detenuto, ma è anche vero che ogni caso va valutato a fondo. E infatti la Procura decide di andare a fondo alla storia di Vittorio e di andare oltre la nota del sindacato di penitenziaria. Intanto si scopre che qualche giorno prima di morire il detenuto aveva rifiutato di scendere nella sala colloqui dove c’era il suo avvocato: perché? (l’interrogativo resta aperto). Si viene a sapere anche che negli ultimi tempi Vittorio era in cella con un piantone: cosa ha visto? Altro interrogativo a cui le indagini dovranno dare risposta. In questi giorni sono circolate voci su un diverbio tra Vittorio e uno degli agenti risalente a un po’ di giorni prima della sua morte: Vittorio avrebbe dato uno schiaffo al poliziotto e per questo sarebbe stato “rieducato” nei giorni successivi. C’è invece chi, tra gli agenti della penitenziaria, ha parlato invece di “azione di contenimento”. Altra circostanza su cui bisognerà indagare a fondo. Intanto sullo sfondo resta la violenza che rende questa storia un dramma nel dramma e resta l’inadeguatezza del sistema penitenziario a evitare e prevenire questa violenza.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).