Il 20 gennaio scorso è giunta alle scuole una nota del ministero dell’Istruzione e del Merito, che chiede di dare attuazione alla legge n.70/24 (la nuova legge anti-bullismo). È arrivata in un giorno particolare, la Giornata del Rispetto, istituita per sensibilizzare contro ogni forma di discriminazione in memoria di Willy Monteiro Duarte, il giovane che nel 2020 fu ucciso per aver difeso un amico in difficoltà.

«Arriva però ad anno scolastico in corso, non all’inizio, come sarebbe stato auspicabile per dare alle scuole i preziosi strumenti normativi che introduce, essendo entrata in vigore nel giugno 2024». È l’opinione di Devis Dori, deputato di Alleanza Verdi-Sinistra, che della legge in questione è stato primo firmatario. Abbiamo dialogato con lui per chiarirne gli obiettivi e offrire una bussola alle scuole che si troveranno ora a metterla in atto. È una legge che nasce, per così dire, «dal basso»: oltre a essere avvocato, infatti, Dori era anche docente e referente per il bullismo della sua scuola quando fu eletto per la prima volta in Parlamento nel 2018, poi riconfermato nel 2022. Il testo è il frutto di un lavoro quinquennale svolto tra le due legislature.

Il governo non ha avuto troppa fretta, a quanto pare. Forse non era necessaria una legge, dato che l’ultima era del 2017?
«Premesso che considero la 71/2017 un punto di partenza imprescindibile, la necessità di una nuova legge è stata indotta da diverse ragioni. Innanzitutto la legge precedente si occupava solo di cyberbullismo e non anche di bullismo, mentre ho potuto notare che spesso il problema non si nasconde soltanto dietro gli schermi degli smartphone, ma anche dietro i sorrisetti di derisione e le spinte all’ingresso della scuola. In secondo luogo, la legge del 2017 si rivolgeva solo alle scuole, come se il bullismo fosse limitato unicamente a questo contesto, mentre ora si agisce anche in merito alle misure amministrative del Tribunale dei minori, con un restyling dell’art. 25 del regio decreto legge 1404/1934. Si è cercato, con questa revisione, di non inserire la punizione in un contesto di reato penale, ma in un progetto di intervento educativo per il ragazzo, che dia il senso della gravità dell’atto ma non infierisca troppo sul futuro del minore che ha sbagliato».

Per le scuole cosa cambia? Cosa devono fare concretamente?
«Devono redigere e approvare un regolamento interno che predisponga delle procedure definite per l’individuazione, segnalazione e gestione degli avvenimenti. E poi istituire un tavolo permanente di monitoraggio che coinvolga – oltre a dirigente e docenti – le rappresentanze di studenti, genitori, esperti e realtà territoriali».

In che senso «tavolo di monitoraggio»?
«Il termine monitoraggio può essere forse limitante rispetto a ciò che abbiamo pensato come legislatori: è uno spazio per leggere insieme i dati ma anche per concordare iniziative. Diciamo che è un tavolo operativo, uno spazio di condivisione di problemi e strategie. Ha lo scopo di non lasciare i docenti e i dirigenti da soli con la patata bollente in mano, responsabilizzando anche altri soggetti, tra cui studenti e genitori (non per forza coincidenti con i rappresentanti eletti negli organi di Istituto), o altre associazioni e ordini professionali scelti in autonomi dalle scuole, come quello degli psicologi o quello degli avvocati, per esempio».

In effetti uno dei problemi più spinosi, spesso, sta proprio nello stabilire quando la situazione si configura come un potenziale reato che va denunciato alle forze dell’ordine.
«Io penso che il dirigente debba farsi supportare dalle forze dell’ordine o dalle procure minorili non solo quando c’è di mezzo la querela, ma in un più costante confronto delle parti. Non possiamo chiedere a un dirigente, che non è un giurista, di poter valutare se si tratta di bullismo oppure no, ma abbiamo cercato di metterlo nella condizione di poter dimostrare di aver fatto tutto il possibile».

Com’è andato l’iter parlamentare? C’è stata concordia tra maggioranza e opposizione?
«Sostanzialmente sì, anche se abbiamo trovato due scogli. Il primo è stato rilevante, perché una parte della maggioranza (Lega e Fratelli d’Italia) voleva introdurre il nuovo reato di bullismo. Per fortuna, poiché questo era un elemento divisivo e già oggi gli atti di bullismo sono riconducibili ad alcune fattispecie di reato (quali lo stalking, la diffamazione, la minaccia, la molestia, l’istigazione al suicidio), siamo riusciti a trovare un accordo su questo. L’altra partita si è giocata sull’ipotesi di fare una legge delega o una legge con norme dispositive immediatamente applicabili su alcuni punti. Anche in questo caso abbiamo mediato, proponendo una legge dispositiva per i punti fondamentali e una legge delega su altro, come la creazione di un’app con geolocalizzazione e messaggistica collegata al 114, il numero di emergenza per tutelare bambini e adolescenti in situazioni di pericolo».

Perché si voleva introdurre il reato di bullismo?
«Per una ragione di spot politico, credo. Di fatto questo governo sta inventando un reato su tutto: puntano tanto sulla propaganda securitaria, e questo poteva essere un altro tassello. Per fortuna, almeno in questo caso, non ci sono riusciti».