Non siamo stati capaci di costruire la pace. Diciamolo forte e chiaro, senza tanti giri di parole. Adesso è facile scaricare tutte le colpe sull’aggressore – e ne ha certamente tante – però cosa abbiamo fatto per fermare il vento della guerra? Risuonano le parole di Papa Francesco: «Vorrei appellarmi a quanti hanno responsabilità politiche, perché facciano un serio esame di coscienza davanti a Dio, che è Dio della pace e non della guerra; che è Padre di tutti, non solo di qualcuno, che ci vuole fratelli e non nemici».

Papa Francesco che ieri si è recato dall’ambasciatore russo presso la Santa Sede, sottolineando l’urgenza della pace. Un gesto concreto, immediato, fuori protocollo, che racconta tutto dell’impegno di chi ha davvero a cuore la soluzione del confitto. Il cardinale Parolin giovedì lo ha ribadito: non è tardi per tornare al tavolo del negoziato. Nella preghiera di giovedì sera a Sant’Egidio, Andrea Riccardi ha lucidamente avvertito: «Nessuna Chiesa europea può dirsi estranea alla responsabilità della pace: a che giocavamo, quando c’erano cieli minacciosi di guerra? Non si tratta di giocare alla Chiesa, ma di portare la profezia della pace, come quelli che hanno ricevuto il sigillo e vincono la guerra, pagando con la generosità e la vita».

Perché la realtà che non dobbiamo nascondere è semplice e purtroppo tristissima: siamo di fronte ad un conflitto fra popoli cristiani. Diceva il Patriarca Atenagora, uomo forgiato nel complesso clima balcanico, con grande senso della storia: «chiese sorelle, popoli fratelli». Oggi le nostre Chiese sono divise… ed anche i popoli restano divisi. Sono cristiani ma non sanno comprendersi e lasciano che le questioni economiche e territoriali siano più forti della fede, decretando così il fallimento dell’ecumenismo. Non quello a parole o l’ecumenismo dei convegni, ma proprio il venir meno della visione forte di un legame comune sulla base del Vangelo che dovrebbe portare i popoli a riconoscersi nell’alveo di una fratellanza reciproca.

Quando manca la consapevolezza della fratellanza, ogni società guarda l’altra in cagnesco, come se l’altro fosse un rivale o, peggio ancora, un nemico. È un messaggio profondamente contrario all’etica e al dettato del Vangelo, di quel cristianesimo che ha pervaso la vita e la cultura. Anche – a parole – dei nostri governanti. E serve uno scatto etico per non accettare la logica del conflitto che è sempre – lo ripeto: sempre – la logica della sopraffazione, di un «Io» atrofico che vuole a tutti i costi prevalere sulla logica inclusiva, aperta, empatica, del «Noi».
Giustamente parliamo di un «ecumenismo da salotto», inefficace di fronte alla realtà, come ha sottolineato a Sant’Egidio Andrea Riccardi, denunciando la messa sotto al tappeto dei problemi irrisolti della convivenza, della geopolitica, di un’Europa che dalla caduta del Muro nel 1989 – e sono 33 anni! – non ha poi fatto molto per realizzare una vera civiltà della tolleranza reciproca e della cura delle relazioni autentiche. E le Chiese cristiane non sono state indenni, pervase come sono dai medesimi nazionalismi e particolarismi che scuotono le società civili.

Una seconda considerazione. L’indebolimento della visione comune, la visione del «Noi», ha contagiato la società civile come un virus più letale ancora del Covid-19. Dobbiamo anche registrare, in positivo, una mobilitazione e un movimento del fronte pacifista, perché il ruolo dell’opinione pubblica è fondamentale per spingere verso una rapida soluzione del conflitto. Però dobbiamo pur chiederci: dove sono stati i movimenti pacifisti in questi anni? Non hanno saputo, potuto o voluto vedere i problemi irrisolti e non hanno voluto, saputo o potuto cogliere i segnali di conflitto? Certo, lo ripeto, oggi è importante assistere ad una mobilitazione delle persone e delle coscienze, è auspicabile che aumenti di intensità e di pressione. Tuttavia era doveroso prevenire il conflitto, sia da parte dei movimenti pacifisti, sia da parte della politica di tutto il nostro Continente. Dove eri tu? Direbbe il Dio della Bibbia; e il Vangelo ci ricorda il dovere etico e umano di non scappare via e anzi di fermarci a soccorrere la persona sofferente sul ciglio della strada. Possiamo farlo se sappiamo ritrovare le ragioni che ci uniscono, resistendo ad una politica della divisione, del contrasto, della costruzione del nemico – di volta in volta: l’altro, lo straniero, l’immigrato, il disabile, il diverso per qualunque motivo strumentale.

Agisce qui, sotto i nostri occhi, un terzo aspetto: la debolezza della visione generale del mondo. Di fronte ai problemi – la pandemia, la giustizia sociale, il dialogo tra le generazioni, la questione ambientale e climatica – rispondiamo iniziando un conflitto? Rispondiamo con la guerra? Davvero ci sono statisti, politici, intellettuali, che vedono nelle armi la soluzione dei problemi? Mi verrebbe da dire: i Romani ed il Sinedrio hanno davvero risolto il problema mettendo a morte Gesù? Non hanno invece, al contrario rispetto al loro obiettivo, dato il via alla più grande rivoluzione etica e religiosa della storia umana? La debolezza della nostra visione del mondo – politica e religiosa – va corretta immediatamente. I cristiani tornino ad unirsi. L’intuizione di San Giovanni Paolo II dell’Europa a due polmoni – Oriente ed Occidente – deve dare vita a politiche sociali, religiose, economiche e culturali davvero all’altezza delle sfide dei nostri tempi. Dove sono oggi le Chiese? Di fronte al conflitto, pensiamo che Dio ci chieda: dove sono i tuoi fratelli? Dove sei tu – uomo e donna di fede – di fronte a questa sofferenza? Dove sono i nostri politici? Il primo impegno deve andare verso la fine di ogni conflitto e l’apertura di una nuova epoca. Ce lo impone la storia, la nostra coscienza e – come se non bastasse – una rinnovata visione del mondo. Papa Francesco si è mosso, idealmente e concretamente ieri uscendo dal Vaticano. Ma c’è di più.

Papa Francesco intitola non a caso il primo capitolo della sua Enciclica Fratelli Tutti «le ombre di un mondo chiuso» e lucidamente osserva che «il modo migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di alcuni valori. Oggi in molti Paesi si utilizza il meccanismo politico di esasperare, esacerbare e polarizzare». E precisa: «Guerre, attentati, persecuzioni per motivi razziali o religiosi, e tanti soprusi contro la dignità umana vengono giudicati in modi diversi a seconda che convengano o meno a determinati interessi, essenzialmente economici». Serve «un mondo aperto», una «politica migliore» ed una prassi ispirata alla «carità politica».

Scrive il Papa: «La carità politica si esprime anche nell’apertura a tutti. Specialmente chi ha la responsabilità di governare, è chiamato a rinunce che rendano possibile l’incontro, e cerca la convergenza almeno su alcuni temi. Sa ascoltare il punto di vista dell’altro consentendo che tutti abbiano un loro spazio. Con rinunce e pazienza un governante può favorire la creazione di quel bel poliedro dove tutti trovano un posto». Se non avessi la carità risuonerei a vuoto, ci dice San paolo. Dobbiamo ricordarcelo tutti: Chiese, credenti, politici, cittadini e cittadine. E chiedere tutti, a gran voce, la pace vera e la reale soluzione pacifica dei conflitti. Mai la guerra. Mai. E ricordo anche la Costituzione italiana che sancisce il rifiuto della guerra per la soluzione dei conflitti.