In 185 pagine il ‘Di Maio pensiero’, i retroscena della politica in cui il ministro degli Esteri si confessa. È questo e molto altro “Un amore chiamato politica”, prima ‘fatica letteraria’ dell’ex leader politico del Movimento 5 Stelle che uscirà in libreria domani, 26 ottobre. Un libro che, ed è curioso per chi ha sempre demonizzato Berlusconi, è edito dalla Piemme, casa editrice che fa parte del Gruppo Mondadori del leader di Forza Italia.

Il dato chiave nella simil-biografia di Di Maio è nelle 185 pagine vengono trattati principalmente due argomenti: i retroscena della nascita del governo Lega-M5s e il cosiddetto “marchio del bibitaro”. All’appello manca clamorosamente il Di Maio sovranista: non vi sono infatti accenni alle uscite del titolare della Farnesina sulla scia dell’ex alleato Salvini, segno ormai di un voler cancellare un certo passato.

Insomma, nessuno spazio alle invettive contro le Ong, gli immigrati e i “taxi del mare”, né il viaggio in Francia assieme ad Alessandro Di Battista per incontrare i ‘gilet gialli’ che stavano paralizzando il paese transalpino.

L’INDICAZIONIE DI CONTE E I TIMORI LEGHISTI DI UN ‘MACRON ITALIANO’ – Di Maio racconta nel libro come maturò, il 14 maggio 2018, la decisione di indicare Giuseppe Conte come presidente del Consiglio del primo governo giallo-verde.

“Io, Spadafora, Salvini e Giorgetti eravamo a colloquio con il professor Giulio Sapelli. Devo ammettere che mi sorprese, ebbe parole lusinghiere per le istituzioni dello Stato, ci raccontò la sua esperienza all’Eni, approfondì alcuni passaggi sui nostri interessi geostrategici. Condivideva anche alcuni punti del nostro programma economico, in particolare era d’accordo su una ripresa delle partecipazioni statali. Era una persona preparata e si capiva che sapeva farsi valere. L’ago della bilancia si stava fortemente spostando verso di lui, anche se dovevamo ancora parlare con Conte. Il problema si pose poco dopo. I leghisti sono infatti famosi per non sapersi tenere nulla, hanno la smania di lasciare filtrare qualsiasi indiscrezione, ne fanno in pratica una linea strategica. Così qualcuno spifferò di quell’incontro e Sapelli, finito il colloquio, la mattina dopo fu intercettato da Radio Cusano Campus, che lo intervistò. Alle domande rispose con un certo piglio, svelò alcuni retroscena in un momento in cui si chiedeva riservatezza. Confermò di essere stato chiamato per fare il presidente del Consiglio. Mai passo fu più falso. Si bruciò con le sue stesse mani”, racconta Di Maio nel sul libro.

A quel punto “quello di Giuseppe Conte sarebbe stato un gol a porta vuota. Tuttavia, lui non sottovalutò la situazione. Al suo arrivo in hotel indossava una camicia, il primo bottone sbottonato, la sua abbronzatura era forte, decisa, molto estiva e gli conferiva un’aria spensierata. Veniva dal Circeo, o da Gaeta, non lo ricordo con esattezza. Impeccabile nei modi, si pose nei confronti di ciascuno di noi con umiltà, mostrando un grande spirito collaborativo. Fece breccia anche in Salvini che, al termine del colloquio, si disse convinto. Un suo strettissimo collaboratore, anche lui presente, si intromise e avanzò un timore, che poi si sarebbe rivelato profetico: ‘Matteo, sei sicuro? Non è che poi questo ci diventa il Macron italiano?’.’Ma figurati!’ ribatté Salvini. In effetti di tutto avremmo potuto immaginare in quel frangente, fuorché l’ascesa che avrebbe poi compiuto Conte”, si legge ancora nel libro di Di Maio.

Salvini definito dall’ex amico-alleato “una delle persone più false che abbia mai conosciuto“.

LA CULTURA DEL ‘BIBITARO’ – Un intero capitolo è dedicato alla cosiddetta “Cultura del bibitaro”. Di Maio sulle ironie dedicata dalla politica sul suo passato non fa sconti, a destra come a sinistra. Il ministro degli Esteri parla innanzitutto di Berlusconi, nelle cui parole “si percepiva prima di tutto il tipico disprezzo di una generazione inchiodata alla poltrona, che non ha mai fatto niente per insegnare e far crescere le nuove generazioni, anzi ha cercato in ogni modo di affossarle, di dimostrare che fossero inadatte a prendere il loro posto. In quelle parole traspare la superbia del predicatore, di chi crede di poter insegnare ai giovani ogni cosa, dicendo loro che devono studiare un tempo indefinito, prendere tre lauree e imparare a parlare cinque lingue, altrimenti non possono capire la realtà in cui vivono, figurarsi governarla. Infine lo spregio che provano tanti quando sanno che nella vita ti sei trovato a svolgere lavori umili, in particolare se sei un meridionale”.

Per Di Maio infatti “Berlusconi per una vita si è sfregato le unghie al petto con la storia del self-made-man, ci ha raccontato di quando suonava il pianoforte sulle navi da crociera, prima di venire su dal nulla e costruire un impero. Se invece sei Di Maio, se vieni da Pomigliano d’Arco e se nella vita per mantenerti gli studi, con gran fatica, hai fatto il cameriere o lo steward, per poi a un certo punto riuscire a emergere, allora sei un raccomandato, hai dei santi in paradiso e meriti la vergogna”.

E proprio sul suo passato, su presunte raccomandazioni, arriva l’affondo dell’ex leader 5 Stelle: “Sono figlio di un geometra che per tre volte si è candidato alle comunali senza essere eletto. Che raccomandazioni avrei mai potuto avere? Altrettanto deprecabili sono coloro che hanno gioito, riso ed esultato strumentalizzando la vicenda. Anche a sinistra, anche in quella che sarebbe, o dovrebbe essere, la casa, il rifugio degli ultimi e degli umili, hanno sfruttato e usato la ‘cultura del bibitaro’”.

LA CADUTA DI CONTE E IL RUOLO DI RENZI – Nel capitolo “L’anno zero” largo spazio viene dedicato alla caduta del Conte II, il governo formato da pentastellati, Partito Democratico, Italia Viva e sinistra. Un esecutivo finito “per una escalation ben orchestrata da Matteo Renzi”, scrive Di Maio. Una storia “che è ormai di dominio pubblico – aggiunge il ministro – ma non ho mai compreso perché per qualcuno fosse più sano governare con i cosiddetti ‘responsabili’ (da Clemente Mastella a Luigi Vitali di Forza Italia, colui che in prima persona lavorò alla depenalizzazione del reato di falso in bilancio e a una lunga serie di condoni, fino a diventare poi il sottosegretario alla Giustizia nel governo Berlusconi II) piuttosto che lavorare a un consolidamento della stessa maggioranza, che avrebbe invece permesso al Movimento di continuare a esercitare una leadership all’interno dell’esecutivo. E a Giuseppe Conte, di restare a Palazzo Chigi”.

Quanto al governo Draghi, per Di Maio è stata “la conseguenza di un’implosione politica che il Paese, in uno dei momenti più drammatici della sua storia, non avrebbe mai potuto sopportare. Decidere di starne fuori avrebbe lasciato mano libera ai nostri detrattori per cancellare tutto il lavoro svolto nei due anni precedenti. Dopo aver celebrato per mesi e mesi l’importanza di esserci, di governare, di incidere per il bene dei cittadini, a costo di compromettere anche il nostro consenso, perché d’improvviso avremmo dovuto cambiare strada?”.

Nel libro c’è spazio anche all’autocritica: “Malgrado alcuni errori, il Movimento 5 Stelle ha avuto molti meriti in questi anni, primo fra tutti quello di restituire umanità e dignità a un sistema che aveva perduto il senso della realtà. Oggi, conservando il nostro sostegno a questo governo, lo stiamo dimostrando. Non mi ha mai appassionato questa polemica interna tra lealisti e antigovernisti, qui non si tratta di essere leali a una maggioranza o a un presidente, ma alla Nazione”.

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Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.