La frenata di Giuseppe Conte sul garantismo di Luigi Di Maio fa arrabbiare i dimaiani del Movimento. Irrita e delude lo stesso ministro degli Esteri. E alza un muro sulla riforma della prescrizione (e del processo penale). A dimostrazione, casomai ce ne fosse stato bisogno, che al di là delle battaglie legali sulla titolarità della banca dati della piattaforma Rousseau, il cammino per definire l’anima del nuovo Movimento è ancora lunga, tortuosa e piena di insidie.

Dice una fonte parlamentare vicina alle posizioni del titolare della Farnesina: «Conte era già intervenuto dopo la lettera di Di Maio a Il Foglio e aveva giustamente tenuto il punto distinguendo tra la gogna mediatica, sbagliata, e il principio di legalità. Ieri però ha voluto andare oltre. E – fa notare la fonte – per l’appunto dopo i ripetuti affondi di Marco Travaglio in formato stereo, a mezzo stampa e a meno tv». Non è passato inosservato infatti che il lungo post di Giuseppe Conte che tende la mano agli ortodossi del Movimento, dice “giù le mani dalla prescrizione” e chiede la testa del sottosegretario della Lega Durigon facendo il solito mix sbagliato tra argomenti che non devono essere confusi, è arrivato domenica sera arriva poche ore dopo le intemerate del direttore de Il Fatto. «Il suo problema – dice la nostra fonte – è che dovrà giustificare uno dei tanti libri che ha scritto. Ma il leader del Movimento non può essere eterodiretto da un giornalista…». Da qualche giorno infatti Travaglio mette in fila affermazioni tranchant del tipo che «le scuse a Uggetti sono una solenne sciocchezza». Oppure che «qualche specialista prima o poi indagherà sulla sindrome di Stoccolma che ha colpito i 5 Stelle alla caduta di Conte. La forma più acuta si riscontra in Di Maio, che s’è scusato sul Foglio per aver avuto ragione sull’ex sindaco di Lodi». Un crescendo che poi ha trovato la sua ufficialità politica, appunto, nel post di Giuseppe Conte.

A parte le scaramucce ai piani alti del Movimento – Conte contro Di Maio, chiarimenti in corso anche tra i rispettivi portavoce, e Travaglio a fare da angolo acuto della situazione, il post di Giuseppe Conte divide più che unire. Seguendo la solita linea di frattura: ortodossi contro movimentisti; chi divide il mondo in bianco e nero per cui chiunque, specie se fa il politico, è un potenziale ladro che deve dimostrare di essere innocente (scuola Davigo, più o meno) e chi invece ammette i grigi, perché ogni storia è un caso a sé e ognuno è innocente fino a prova contraria. Ora, al di là del caso del sindaco di Lodi Simone Uggetti assolto in Appello perché il caso non costituisce reato, Conte domenica sera è stato chiamato a fare una clamorosa marcia indietro e a ribadire alcuni punti centrali per il Movimento. E per la sua leadership. Per il presente e per il futuro. In linea generale, al di là delle scuse personali (di Di Maio) e di una comunicazione da modificare sulle questioni giudiziarie, è chiaro – ha scritto Conte – che il Movimento «resta intransigente nella misura in cui non ci renderemo disponibile a negoziare i nostri principi e a scolorire i nostri valori».

La cartina di tornasole è la riforma della giustizia – del processo penale – cioè della prescrizione. Su cui, fa capire l’ex premier, non saranno accettate clamorose mediazioni al ribasso. «Il Movimento ha le competenze e le capacità per esprimere una cultura giuridica solida e matura. Continueremo ad assicurare il nostro massimo impegno per realizzare le riforme già avviate nel segno di un sistema giustizia più celere ma anche più equo e giusto». Insomma, il messaggio di Conte è chiaro: «Chi pensa che il nuovo Movimento possa venire meno a queste convinzioni o pensa di strumentalizzare questo percorso di maturazione, rimarrà deluso».

Oltre il nodo giustizia, l’intervento di Conte è certamente una mano tesa all’ortodossia di Di Battista e soci, una parte con cui Conte non vuole chiudere perché sa bene che ne potrebbe avere bisogno. Anche solo per non averla contro. E un altolà a Di Maio la cui leadership, seppure in sonno, nel Movimento è fonte di un dualismo mai risolto tra l’ex premier e l’ex capo politico. Soprattutto di fronte al vuoto di leadership che per un motivo o per l’altro affanna il Movimento in sé e i gruppi parlamentari in sofferenza per l’assenza di una guida. E la storia continua.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.