Di Maio tratta con la Cina, i misteri della via della seta

Chissà cosa realmente si sono detti il ministro Luigi Di Maio e il suo omologo Wang Yi durante l’incontro a Villa Madama. La conferenza stampa congiunta di rito è stata deludente. Si sono affrontate tematiche come quella di «rilanciare la nostra partnership strategica dal punto di vista economico e industriale, che per l’Italia è una priorità». Perché rilanciare? Ciò significa che tutto l’intenso lavoro pro Cina elaborato negli ultimi anni dai Cinque Stelle non ha dato i frutti sperati?

La pubblicizzata Nuova Via della Seta era uno scherzo? Quale politica avrà adottato il ministro pentastellato? Prudente ed abbottonato su temi delicati come l’adozione della tecnologia 5G di Huawei, il vaccino per difenderci dal Coronavirus Made in China, la Nuova Via della Seta versione post Coronavirus, la questione della conquista dei porti, la produzione e diffusione di auto elettriche, la ex Ilva di Taranto e la longa mano cinese, oppure affronterà con la dovuta prudenza il tema dell’accordo in scadenza tra Vaticano e Pechino? A metà luglio Lugi Di Maio aveva rilasciato un’intervista al quotidiano Il Foglio dove esprimeva apertamente sentimenti anticinesi e europeisti. Sembrava che dopo anni di intensi e contraccambiati amorosi intenti il rapporto tra gli uomini di Beppe Grillo e i politici di Pechino si fossero improvvisamente infranti. O, per lo meno, raffreddati. Un palese contrordine compagni certamente non frutto del pensiero di Lugi Di Maio che appare sempre più mero esecutore, ma più probabilmente una sterzata imposta da chi nei Cinque Stelle comanda.

Pochi giorni prima la svolta, il quotidiano Il Piccolo di Trieste significativamente titolava: “Congelato l’interesse di Pechino per la piattaforma logistica di Trieste”. Poi Telecom Italia ha escluso Huawei tra la lista dei fornitori di tecnologia per il 5G. La guerra commerciale (e non solo) tra blocchi incomincia a farsi sentire anche in Europa e in Italia. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi incontrerà altri collegi europei, un tour per raccogliere consensi e fare sentire al Vecchio continente il costante peso di Pechino. Sarà interessante seguire gli incontri con la Germania l’unico paese con la bilancia commerciale in attivo con la Cina che, pur di vendere un incredibile quantità di auto e tecnologia al Paese del Dragone, si è lasciata stritolare da Pechino. L’Inghilterra post David Cameron ha congelato alcuni importanti accordi, soprattutto nel campo energetico e della comunicazioni, che aveva tessuto con Pechino. La politica di Boris Johnson è senza dubbio più prudente di quella del suo predecessore. Torniamo all’Italia. La scoperta della “collocazione euro-atlantica” dell’Italia, così come detto da Luigi Di Maio, obbligherebbe il ministro a superare alcuni tabù. Prima di tutto, se la svolta è sinceramente sentita, sarebbe opportuno che il ministro chiarisse la posizione e gli interessi della Cina per il porto di Taranto e lo stabilimento ex Ilva.

Per primi su queste colonne abbiamo lanciato quest’inverno l’allarme relativo ad un interesse concreto di una società pubblica cinese per l’acquisto della ex Ilva. Interesse mediato da alcuni membri del governo italiano, inizialmente elaborato e discusso mentre erano in visita ufficiale a Pechino. Tutto ciò che abbiamo scritto non è stato smentito. Ed ora che il Comitato parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (Copasir) guidato dal leghista Raffaele Volpi ha acquisito un documento redatto dalla nostra intelligence relativo agli interessi cinesi su Taranto, Luigi Di Maio, che probabilmente è uno degli attori della trattativa segreta con Pechino, dovrebbe spiegare quali interessi la Cina ha manifestato su Taranto e qual è stato il contributo del nostro governo. Siamo certi che coerentemente Lugi Di Maio onorerà l’ideologia pentastellata di trasparenza che per anni ha caratterizzato le grida delle (ex) affollate campagne elettorali.