Lo scontro tra l’ex Pm Di Matteo, membro autorevole del Csm, e il ministro Bonafede si sta allargando. Nei 5 Stelle si è aperta la guerra. I consiglieri laici del Csm che fanno capo ai 5 Stelle si sono dissociati da Di Matteo. È andata in crisi l’alleanza che controlla la maggioranza del Consiglio, cioè quella tra la sinistra giudiziaria e la destra di Davigo. Perché Di Matteo è un “soldato” di Davigo, e la sua rivolta fa saltare tutti gli equilibri. Cosa vuole Di Matteo? Evidentemente voleva essere nominato capo del Dap. Invece Bonafede gli ha preferito Petralia. E lui non ci sta.
Anche perché Bonafede gli aveva promesso quel posto già due anni fa, quando governava con Salvini, e poi non aveva mantenuto. Fatto fuori per la seconda volta? Di Matteo si è infuriato per questo sgarbo e ha chiamato Giletti per lanciare accuse feroci contro Bonafede. Ha detto che il ministro ha ceduto al ricatto dei mafiosi. Secondo lo schema abitualmente usato da Di Matteo questa accusa equivale a “concorso esterno in associazione mafiosa”. È un reato per il quale si rischiano 10 anni di prigione senza benefici né sconti. Perché è così ambito il posto di capo del Dap? Per varie ragioni. Dà potere. È un posto “politico”. Può essere un trampolino. E poi è anche ben pagato: credo circa 320 mila euro all’anno, molto più di un posto da ministro o da deputato. Una bella poltrona, dicevano una volta i 5 Stelle.
Ora – come scrive l’ex parlamentare radicale Franco Corleone su questo giornale – si pone il problema di cosa farà il presidente della Repubblica. È il capo del Csm. Ha ricevuto il giuramento di Bonafede. Può far finta che non sia successo niente e credere all’ipotesi – un po’ umoristica – di Marco Travaglio, che ha scritto sul Fatto (testualmente), riferendosi allo scontro tra Di Matteo e Bonafede, che “è stato solo un colossale equivoco tra due persone in buonafede”? Un mancato intervento del Quirinale potrebbe costare caro alla credibilità del governo e di una istituzione fondamentale come il Csm.