«Il rischio che si corre è che chi ha fatto le stragi per ricattare lo Stato ottenga ora l’obiettivo che ha perseguito con le stragi». Ci dica lei, dottor Nino Di Matteo, autorevole membro del Csm con un bel passato di pm “antimafia”, come dobbiamo interpretare questa sua frase contro l’abolizione della legge sull’ergastolo ostativo. Vuol forse significare che la Consulta, nel decretare l’incostituzionalità della norma per la violazione degli articoli 3 e 27 della Costituzione ha ceduto al ricatto della mafia? E che di conseguenza il Parlamento si starebbe avviando a una nuova “Trattativa” con i boss? Speriamo di no, ma ce lo spieghi lei. Anche perché a noi sembrerebbe normale il fatto che i magistrati, specie quelli autorevoli come gli appartenenti al Csm, siano ligi ai principi costituzionali e ai pronunciamenti dell’Alta Corte.

Stiamo parlando dei diritti fondamentali della persona e di due articoli della Costituzione che pongono principi che dovrebbero essere le stelle polari di ogni operatore della giustizia. Stiamo parlando di quel “fine pena mai”, cioè la pena di morte sociale che fu introdotta da una legge emergenziale nel 1992, in una stagione molto particolare, dopo le uccisioni dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Molti pensano che fosse indispensabile, in quel momento, dichiarare guerra alla mafia anche con una risposta legislativa illegittima. Non tutti per fortuna la pensano così, ma anche a voler accettare quell’aberrazione che portò in quel momento a derogare sul rispetto della Costituzione, non è chi non veda quanto siamo in un momento completamente diverso dalla stagione delle stragi mafiose. Perché dunque continuare ad accanirsi, dal momento che su quell’incostituzionalità si è già espressa due volte la Consulta su sollecitazione della corte di cassazione e dopo che l’Italia era stata già condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo? Il tutto nell’arco di due anni, tra il 2019 e il 2021. Ora la commissione giustizia della Camera ha iniziato a lavorare su una nuova legge dopo che nell’aprile scorso l’Alta Corte, nel dichiararne l’incostituzionalità, ha messo la norma sull’ergastolo ostativo nelle mani del Parlamento perché ne formuli un’altra che sia in linea con gli articoli 3 e 27 della Costituzione entro l’aprile del 2022.

Nelle audizioni che la commissione sta tenendo in questi giorni, dopo aver elaborato un testo base ancora molto “timido” rispetto alle indicazioni della Corte Costituzionale (e che nonostante ciò non è accettato da Fratelli d’Italia che lo vorrebbe più centrato sulle esigenze di sicurezza), sono emerse forti critiche da parte soprattutto dell’ex procuratore Giancarlo Caselli e ieri, appunto di Nino Di Matteo. Si lancia il consueto allarme, come se pericolosi assassini stessero per essere rimessi in libertà senza che abbiano ancora scontato la pena. Si tralascia il fatto che un personaggio come quello che ha sciolto un bambino nell’acido e che si chiama Giovanni Brusca è da tempo libero di circolare in mezzo a noi. E si continua a considerare più importante quel “pentimento” che spesso è falso e comunque sempre interessato, rispetto a quel vero cambiamento della persona che è prodotto dal trascorrere del tempo e da un impegno che non è solo interiore ma “sociale”, se pur ristretto alla piccola società dei reclusi e degli operatori carcerari.

Si trascura l’importanza di una giustizia che dovrebbe mettere al centro la persona e i suoi comportamenti nel corso del tempo, invece di tenerla ferma a quella fotografia scattata nel momento della commissione del delitto e alla qualificazione del reato. Non si dà fiducia neanche ai tanti operatori che all’interno delle carceri lavorano ad aiutare i detenuti nel loro percorso di cambiamento, e neanche ai tanti giudici di sorveglianza che decidono ogni giorno con lungimiranza ma anche con rigore su ogni richiesta di permessi esterni o di liberazione condizionale. Nel caso degli ergastolani si tratterebbe comunque di parlarne dopo almeno 26 anni di detenzione. Temiamo che la commissione giustizia della Camera si stia un po’ impantanando nel richiedere il parere di troppi organismi (tra cui la sfilza degli “antimafia”) per ogni decisione e soprattutto l’introduzione di qualche forma di inversione dell’onere della prova, con nuovi rischi di incostituzionalità. E anche con la previsione di centralizzare in un unico tribunale di sorveglianza nazionale la competenza della materia. Con il rischio di buttare a mare tante esperienze positive e proficue. Di giudici forse troppo garantisti. Tutti ricattati dalla mafia? Meglio silenziarli. Insieme alla Consulta.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.