L'editoriale
Dialoghiamo con la Turchia, può essere un partner difficile ma utile
D’altro canto la guerra prosegue e per i sunniti in Siria il clima non è dei migliori. Così anche la Turchia diviene preda di problemi simili a quelli che hanno vissuto gli Stati membri dell’Ue, e rischia reazioni non diverse da parte della sua opinione pubblica. Contemporaneamente il presidente Erdogan ha annunciato all’ultima assemblea generale dell’Onu la prosecuzione dei programmi di inserimento, che prevedono la costruzione di nuove città con un costo pari ad altri 26 miliardi di dollari. Ripopolamento, ingegneria etnica, integrazione o rimpatri? Tutte le possibilità sono sul tavolo mentre la guerra siriana continua attorno a Idlib. Per l’opinione turca qualcosa va fatto anche per dosare i flussi. Le polemiche di questi ultimi mesi e anni tra Europa e Turchia, tutte immancabilmente legate alla questione migratoria scaturita dalla guerra siriana, confondono lo scenario, non permettendo una relazione oggettiva ed efficace.
Dal tentativo di colpo di Stato ad Ankara del 2016, i rapporti sono peggiorati, divenendo a tratti freddi e talvolta ostili, suscitando incomprensioni dalle due parti. Certo la reazione di Erdogan al putsch non è piaciuta: troppi arresti e processi espeditivi, troppa repressione, troppi media e social media imbavagliati. Cosa avviene oggi in Turchia? In Occidente tale svolta autoritaria sta destando preoccupazione e rigetto così come impensierisce l’attivismo turco in politica estera. L’affaire libico sta complicando ancor più i rapporti. Tuttavia tale stato di cose non deve creare un abisso incolmabile tra Turchia ed Europa: non è nell’interesse di nessuno dei due. Non occorre essere d’accordo su tutto per impostare relazioni più costruttive. A parte i problemi interni, sulla guerra di Siria i turchi si sono sentiti abbandonati da un Occidente incerto e confusionario che non ha saputo né essere unito né prendere decisioni condivise. Da parte europea si risponde che anche i turchi hanno voluto giocare con il fuoco e che i loro “amici” ribelli siriani non sono stinchi di santo.
Resta il fatto che in Siria la Turchia ha saputo realizzare un sofisticato equilibrio politico-diplomatico con la Russia di Putin, e ora è una delle potenze che conterà nel riassetto dell’area. Di questo europei e americani devono realisticamente tener conto, riconoscendo allo stesso tempo il grande sforzo fatto da Ankara in termini umanitari, invece di lamentarsi di pochi miliardi dati tra l’altro di malavoglia. Sull’uscita dal finale conflitto e sulla ricostruzione della Siria europei e turchi hanno tutto l’interesse a parlarsi e a collaborare. Anche se Assad ha vinto la guerra con l’aiuto russo, la Turchia non l’ha persa e ora viene il tempo in cui si deve vincere la pace. Parallelamente non va dimenticato quanto la presenza delle imprese turche nel Kurdistan iracheno sia massiccia. Di conseguenza anche la questione del Rojava siriano va ridimensionata: nessuno, nemmeno in Europa, è seriamente intezionato a favorire la nascita di un’autorità kurda autonoma o indipendente a nord est della Siria. Ciò scatenerebbe una reazione a catena di eventi incontrollabili. Anche i kurdi d’Iraq l’hanno capito, a loro spese.
Esiste invece un tema di minoranze molto più largo, che riguarda anche i cristiani, gli yezidi ecc. In Medio Oriente Turchia e Ue dovrebbero collaborare a una nuova fase di stabilità e convivenza, pur mantenendo opinioni diverse su molti fronti, primo fra tutti quello dei diritti umani e delle minoranze. Lo stesso si dica per la Libia: Ankara rappresenta un attore che può servire da equilibratore. Mettersi contro a prescindere coltivando sospetti e paure, non sarebbe pragmatico. Trattare – pur da posizioni diverse – è invece la strada da seguire e l’Italia ne ha tutto l’interesse. La Turchia (assieme alla Russia) si è data ormai il mandato di “security provider” nel Mediterraneo orientale e centrale.
Di ciò dobbiamo tener conto, sfruttando anche la tradizionale fluidità di rapporti tra Roma e Ankara, ora messa un po’ in ombra. Anche la Turchia ha interesse ad aver buone relazioni con l’Italia, e con l’Europa che resta il suo primo partner commerciale, senza possibilità alcuna di sostituzione. Il Mediterraneo rappresenta un interesse comune. Inoltre vari milioni di turchi vivono e lavorano in Europa: sarebbe un disastro se divenissero merce di scambio o, peggio, ostaggi di un contenzioso infinito.
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