Tra Cina e Stati Uniti le prove di dialogo non si fermano. Nonostante una conflittualità evidente in molti settori, e nonostante la frase di Joe Biden su Xi Jinpingdittatore” che ha fatto infuriare il Politburo cinese, Washington non sembra intenzionata ad alzare completamente il muro nei confronti di Pechino. E così, dopo il viaggio in Cina del segretario di Stato Anthony Blinken, adesso è il turno di un’altra personalità fondamentale dell’amministrazione dem: il segretario al Tesoro Janet Yellen.

Sbarcata ieri nella Repubblica popolare per una visita di quattro giorni, per Yellen si tratta di una delle missioni più complicate. I difficili rapporti tra Pechino e Washington, infatti, si giocano anche nel dominio dell’economia. Anche se non soprattutto, dal momento che le questioni più divisive tra le due superpotenze riguardano proprio il suo settore. Ed è da qui che poi discendono, a cascata, le divergenze strategiche che si osservano tanto in ambito militare quanto diplomatico. La visita di Yellen arriva in un momento particolarmente complesso dei rapporti tra i due Paesi. L’amministrazione Biden, seguita dagli alleati europei e dell’Indo-Pacifico, ha infatti lanciato una politica di cosiddetto “de-risking”. Un termine che nella narrativa diplomatica ha ultimamente sostituito il concetto di “decoupling” e che si traduce nel promuovere non più l’obiettivo del completo sganciamento dalla Cina, ma una riduzione dei rischi derivanti dalla dipendenza.

Pechino non sembra particolarmente convinta dell’immagine distensiva proposta in Occidente. Lo dimostra il fatto che l’arrivo del segretario al Tesoro Usa è stato “accolto” con un duro editoriale dell’agenzia Xinhua in cui il lettore viene invitato a “non farsi abbindolare” dall’uso della formula del “de-risking” al posto del più noto disaccoppiamento. L’articolo fa comprendere quindi il terreno decisamente scivoloso su cui cammina Yellen nella sua quattro giorni asiatica. Ma serve anche a capire come sia proprio quello descritto da Xinhua il nodo principale del confronto tra queste due superpotenze. Uno dei temi più importanti sul tavolo è quello dei microchip: elemento-chiave sia dell’intera politica mondiale sia per leggere la tensione commerciale tra Pechino e Washington.

Gli Stati Uniti considerano prioritario rendere sicura la produzione dei semiconduttori e hanno varato una politica di forte pressione sulla Cina fatta di sanzioni e limitazioni riguardanti alcuni specifici elementi. Politica su cui Biden punta molto sia per internalizzare la produzione (il piano di investimento da decine di miliardi della Chip Law va in questa direzione), sia per fare in modo che l’intero Occidente sia sempre meno dipendente dalle forniture cinesi. Le risposte della potenza asiatica non si sono fatte attendere, e dopo avere messo al bando l’americana Micron dal proprio Paese, è arrivato proprio in questi giorni l’annuncio della riduzione dell’export di germanio e gallio da parte della Repubblica popolare: metalli che, non certo casualmente, sono fondamentali anche nell’industria dei chip europei e in particolare in campo militare. Lo scontro appare ormai cristallino.

Eppure, nonostante quella che sembra essere una nuova Guerra fredda combattuta sul terreno della tecnologia e della sicurezza economica, Biden e Xi Jinping hanno fatto intendere di non volere arrivare a uno scontro frontale, provando a gestire questa fase del rapporto nei binari di una convivenza difficile ma al momento necessaria per entrambi. La sfida di certo non è semplice. Al netto delle parole di apertura o comunque di timida distensione, già solo la necessità di due viaggi di altissimo livello in Cina, uno di Blinken e uno di Yellen, certificano la necessità di un dialogo continuo e direttamente alla corte di Xi.

Inoltre, l’impressione che scaturisce dai documenti strategici, statunitensi ma anche europei e in generale atlantici, è che l’Occidente considera la Repubblica popolare cinese una sfida sistemica o strutturale. Un dato che, se non definisce Pechino una minaccia – caratteristica che invece questi documenti individuano in Mosca – di certo non sottintende un rapporto disteso e proiettato verso una serena amicizia tra i due poli del mondo. In questa condizione l’equilibrio della distensione appare estremamente difficile da mantenere, e lo dimostrano anche i continui deragliamenti di entrambe le superpotenze pure nei momenti in cui sembra avvicinarsi una forma di pacificazione. Anche per questo motivo, il viaggio di Yellen, con incontri con i più alti funzionari del Partito comunista cinese, viene letto in una chiave di profonda cautela, com’è stato poche settimane fa per Blinken.

Cina e Stati Uniti sono intenzionati a dialogare per evitare fratture in campo finanziario e tecnologico: ambiti centrali per i reciproci vantaggi derivante dalla loro cooperazione. D’altro canto, è ormai chiaro che entrambe le superpotenze dialogano senza più nascondere né la diffidenza reciproca, né il desiderio di contenersi a vicenda. Poco prima dell’arrivo del segretario al Tesoro Usa in Cina, la portavoce del ministero del Commercio, Shu Jueting, ha accusato il governo statunitense di avere danneggiato il commercio mondiale con la sua politica sui semiconduttori. Mentre Xi Jinping, il giorno stesso in cui Yellen è arrivata nel suo Paese, ha ispezionato il Comando del Teatro Orientale dell’Esercito, che si occupa delle operazioni nell’area di Taiwan, invocando una maggiore “pianificazione della guerra”.